giovedì 28 giugno 2007

Via Matteo Bonello

LA REPUBBLICA - GIOVEDÌ, 28 GIUGNO 2007

Pagina XIV

LA POLEMICA

LA STRADA INTESTATA A UN OMICIDA
Il protagonista: Via Matteo Bonello ricorda il capopopolo che uccise il Gran Cancelliere Maione
Il contesto: Il fatto è accaduto per contrasti tra nobili nel XII secolo ai tempi di Guglielmo il Malo

FRANCESCO PALAZZO

A proposito di strade palermitane intestate o meno per vari motivi, nei giorni scorsi "Repubblica" ha ricordato la campagna di stampa per non fare intitolare una via a Giuseppe Maggiore (rettore fascista propugnatore delle leggi razziali, che aveva sottoscritto la cacciata dall´Ateneo di cinque docenti ebrei) e ha sottolineato invece che ad Alfredo Cucco è andata meglio, non si capisce per quale motivo. Per lui un posticino nello stradario si è trovato. Sull´argomento, alcuni mesi addietro, si è appreso che, per decisione della commissione toponomastica del Comune, duecento strade e piazze palermitane, vecchie e nuove, stanno cambiando denominazione o sono in procinto di avere un nome nuovo di zecca al posto di molte incomprensibili sigle anonime. Giovanni Paolo II ha già impalmato la piazza antistante lo stadio scalciando lo statista Alcide de Gasperi, che però ancora gode di un posto al sole nella strada vicina. Tra i nuovi arrivati avremo anche il cardinale Pappalardo, il filosofo Norberto Bobbio, madre Teresa di Calcutta e altri personaggi più o meno noti. È nota e già archiviata la giusta polemica di alcuni familiari di vittime della mafia, che non hanno gradito la periferica dislocazione delle vie assegnate ai loro cari. In qualche caso il Comune ha già fatto marcia indietro. Parlando di strade, credo sia interessante riflettere su un altro caso, non so se unico, ma certamente molto raro. Una delle vie più conosciute di Palermo è dedicata a chi una sera di tanti secoli addietro, con tutti i dubbi che una ricostruzione storica di un fatto così lontano nel tempo presenta, avrebbe pugnalato a morte una persona. Parliamo della Via Matteo Bonello, che scorre non in una landa desolata del territorio palermitano, ma in un luogo centralissimo, ossia tra il palazzo arcivescovile e la cattedrale. I fatti sono (o sarebbero) questi. Siamo nel dodicesimo secolo, capo del regno normanno di Sicilia è Guglielmo I, asceso al trono dopo la morte di re Ruggero II. Passa alla storia come "Il Malo", chiamato così dai baroni ai quali limita i privilegi feudali. Per perseguire tale obiettivo politico da carta bianca al suo Gran Cancelliere, Maione da Bari, di estrazione plebea. Quest´ultimo per un periodo è primo ministro e quindi la persona più potente dopo il re stesso, al quale si suppone volesse subentrare. Su di lui gravano le accuse, non si sa quanto fondate, di tirannia e malgoverno. Avvia comunque varie riforme che colpiscono economicamente i baroni. Tutto questo sfocia in un rivolta, guidata da Matteo Bonello e progettata dai nobili nel castello di Caccamo. Il 10 novembre 1160, come capro espiatorio della crisi, Maione è assassinato in pubblico. Una tradizione popolare vuole che sia stato ucciso proprio dal Bonello davanti al palazzo arcivescovile, dove ancora oggi, sul portone d´ingresso, si troverebbe infissa l´elsa della spada del suo giustiziere. L´impugnatura nel portone c´è davvero, non coinciderebbe tuttavia con quelle in uso al tempo dei fatti. Sulla vicenda storica c´è, inoltre, da dire che Bonello è imparentato con Maione, questi infatti gli ha promesso la mano della figlia. Sembra pure che l´agguato mortale avviene con il silenzio, forse complice, dell´arcivescovo di Palermo Ugo. Il quale, poco prima dell´uccisione di Maione, pare intrattenga con lui un dialogo molto duro, accusandolo di non proteggere i baroni. In ogni caso la vittima è malvista sia alla nobiltà che dal clero. In qualsiasi modo siano andate le cose, pare dunque che il "merito" più grande per il quale è ricordato Matteo Bonello, a torto o a ragione, è quello di aver ucciso un esponente delle istituzioni, amato o odiato non è questo che importa. Ed è davvero singolare che, non solo gli sia stata dedicata una via, ma che questa ricada proprio nel luogo dove s´ipotizza sia avvenuto il delitto, sottolineando di fatto il motivo dell´intitolazione. Forse è ormai giunto il tempo di rimediare, magari intestando la strada che passa nel cuore della cattolicità palermitana proprio al Cardinale Salvatore Pappalardo. In quanto all´elsa ancora piantata nel portone dell´arcivescovado, pur non essendo riconducibile a quell´agguato, ma ricordando a tutti un eclatante omicidio politico (oggi, forse, diremmo anche mafioso), non sarebbe male che dalla curia partisse l´iniziativa di estirparla definitivamente.

martedì 26 giugno 2007

Abolire l´ergastolo scelta sbagliata

LA REPUBBLICA PALERMO MARTEDÌ, 26 GIUGNO 2007
Pagina IX
Abolire l´ergastolo la scelta sbagliata
Cosa nostra ne trarrebbe un vantaggio non tanto nell´impunità quanto nell´immagine
FRANCESCO PALAZZO


I rapporti tra Cosa nostra e lo Stato vivono anche di segnali e di percezioni. Quasi sempre questi ultimi incidono, in positivo o in negativo, soltanto all´interno della sfera emotiva di entrambi i soggetti, altre volte generano sostanziali modifiche. Non sappiamo in quale versante collocare la proposta dell´abolizione dell´ergastolo, che potrebbe inserirsi nella più generale riscrittura del codice penale. Che l´argomento sia sensibile non ci vuole molto a dimostrarlo. Si sostiene che i mafiosi non hanno mai avuto problemi a stare in cella. Non si può negare, tuttavia, che se qualche decina d´anni può addirittura costituire una medaglia al valore, quando il tempo reclusivo è senza fine la cosa comincia a farsi seria anche per le pelli più dure. Del resto, che il numero dei collaboratori di giustizia sia stato notevole proprio nel periodo in cui lo Stato è riuscito ad attuare un giro di vite sulla situazione carceraria e repressiva in generale, qualcosa vorrà pur dire. L´argomento cancellazione ergastolo, insomma, è di quelli sensibili e potrebbe essere interpretato dalla mafia, a torto o a ragione, come una risposta a esigenze non secondarie. E ciò a prescindere dalla volontà e dalle motivazioni della politica, sicuramente adeguate e convincenti in punta di diritto. L´abolizione del 41 bis e dell´ergastolo, oltre che la revisione dei processi per cancellare appunto le pene più pesanti, stavano in cima al famoso papello che Cosa nostra avrebbe agitato sotto il naso delle istituzioni repubblicane dopo le stragi di Capaci e di via D´Amelio. Papello firmato platealmente con gli attentati dinamitardi dell´estate del 1993 sull´asse Roma-Firenze-Milano. Le altre emergenze per il governo mafioso erano la confisca dei beni e la delegittimazione dei collaboratori di giustizia. Sullo stato dell´arte concernente questi due ultimi temi ognuno può farsi l´opinione che vuole, a un occhio profano sembra che non si navighi nell´oro. Tornando all´ergastolo, che comunque nell´ipotesi di riforma sarebbe sostituito con la pena di 38 anni, è giusto pure soffermarsi sull´impatto che la sua cancellazione può avere su un comune cittadino, magari nato in un quartiere periferico ad esclusiva signoria mafiosa. Vedere tornare i mafiosi che contano a spadroneggiare nel territorio, dopo che ci si era affrancati definitivamente almeno della loro presenza fisica, può motivare e giustificare nel popolo minuto, il quale pure esso vive di segnali e percezioni, la consapevolezza, grezza ed errata finché si vuole, che alla fine vincono sempre loro. Avranno tempo i giuristi a spiegargli che oggi l´ergastolo non se lo fa più nessuno e che dopo 26 anni si può ottenere la libertà condizionata. Ci sarà pure modo di tirare in ballo la Costituzione nel punto dove parla di rieducazione del condannato, affermando che la frase "fina pena mai" non prevede nessun tipo di recupero del reo. Ma alla fine prevarrà il ragionamento spicciolo, il capomafia era in carcere e adesso è di nuovo tra i piedi, non tanto per redimersi, ma per riacciuffare il potere e guadagnarne ancora. Capiamo che una riforma di questo tipo non può essere letta solo attraverso le deformanti e deformate lenti siciliane o meridionali. Inoltre, ci paiono discutibili le ragioni di coloro che ipotizzano una nuova guerra di mafia dopo un´eventuale revoca degli ergastoli. Di guerre di mafia ve ne sono state in abbondanza, sostengono alcuni, anche in presenza del carcere a vita. Detto tutto questo, non si può eludere una questione politica generale, che va al di là dei codici. Da un governo di centrosinistra, pur se azzoppato in uno dei due rami del parlamento, ci si attende molto contro le mafie. Che si esordisca mettendo sul piatto del confronto politico la forte pietanza dell´abolizione dell´ergastolo non è un buon segno. Nelle intercettazioni i mafiosi si dichiarano contrariati degli effetti seguiti all´indulto. Possiamo star certi che questa discussione sull´abrogazione della massima pena detentiva li stia rendendo un po´ più contenti e meno contrariati.

mercoledì 20 giugno 2007

L'antimafia oltre le date

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ, 20 GIUGNO 2007

Pagina XV
Una casa delle associazioni nell´antimafia senza date
FRANCESCO PALAZZO


Quando ricordare le vittime di mafia? C´è proprio bisogno di un giorno del calendario in cui far ricadere la memoria unificante che onori tutti coloro che sono caduti sotto la violenza mafiosa? Giuseppe Casarrubea sollevava ieri sul nostro giornale polemicamente e giustamente la questione. Ogni vittima ha una sua peculiarità, rappresenta un percorso particolare, che dovrebbe semmai essere enfatizzato più che riprodotto recitando interminabili elenchi. Anche se questi ultimi sono utili a consegnarci il quadro unitario di una lotta che non è vacuo rappresentarsi in maniera sincronica. Si devono fare ambedue le cose, ma sappiamo che le vittime non sono tutte uguali. Per alcune c´è stata negli anni una sovraesposizione mediatica, altre sono sostanzialmente scomparse, se non nella memoria dei loro cari, in quella più grande e significativa della pubblica opinione. Allora non ci sarà mai nessuna data in grado di accontentare tutti, e del resto ci pare che tale problematica ha a che fare soltanto con una parte dell´antimafia, ossia la memoria. Trarre dall´oblio le vittime, tutte, è esercizio che mai può essere disatteso, anche se talvolta prevale la retorica sulla sostanza. E la retorica prevale, e a volte inonda qualche iniziativa. Se a primeggiare fossero i progetti comuni, portati avanti in nome di chi non può più farlo, ecco che il problema delle date diverrebbe davvero relativo. Ognuno potrebbe valorizzare come meglio crede la biografia che più ritiene consona al proprio percorso o al mandato dell´associazione o del gruppo di cui fa parte, per poi ritrovarsi, anno dopo anno, passo dopo passo, nel realizzare un pezzo di percorso collettivo e concreto. Partendo dalla considerazione che trascorse le date, finite le partite dell´impegno e della solidarietà, spentisi insomma le luci dei riflettori, ciò che resta in mano è davvero poco. E ciò che rimane è la ripartenza della macchina organizzativa per la ricorrenza del prossimo anno e così via, sino al punto da ripetere stessi tragitti e uguali parole. Ricordiamo le grandi manifestazioni seguite alle stragi del 1992, centinaia di migliaia di persone per le strade, sembrava un punto di non ritorno e invece poi c´è stato il riflusso. La mafia che non spara (ma sembra che negli ultimi tempi stia cambiando idea) e l´antimafia impegnata nel territorio che si ritrova a litigare sul come, sul quando e sul chi commemorare. Senza che si colga il frutto di attività autonome che non siano solo delle risposte di secondo livello, di pura reazione, quali possono essere le pur meritorie e coraggiose attività poste in essere, a esempio, da quanti lavorano sui terreni confiscati o nell´antiracket. Per dirla tutta, invitare il presidente della Repubblica a visitare il giardino della memoria sorto a Ciaculli è sicuramente un fatto significativo. Molto più prosaicamente fattivo, anche se meno coinvolgente emotivamente, sarebbe stato, che so, fargli inaugurare un luogo, che d´ora in avanti avesse potuto chiamarsi casa delle associazioni impegnate comunque nel far sorgere germogli di vita normale nel territorio palermitano. Si può sempre cominciare, anche con poco dal punto di vista dell´investimento economico, non è neanche necessario, in un primo momento, l´aiuto delle istituzioni. Ogni anno si potrebbero misurare i passi in avanti compiuti per rendere tale luogo sempre più catalizzante e concreto nella lotta alle mafie. E in che giorno farlo, se per ricordare l´uno o l´altro, ne converrete, sarebbe veramente una questione di secondaria importanza. "La memoria e il progetto" è una proposta molto concreta che due anni addietro ha lanciato il Centro Impastato, e che mira alla creazione di uno spazio polivalente che sia mostra permanente su mafia e antimafia, biblioteca-emeroteca, casa delle associazioni e laboratorio per la progettazione di nuove iniziative. Se si vuole è possibile lavorare sfruttando questa proposta. E lo si può fare a partire da qualsiasi data.

sabato 16 giugno 2007

Palermo, l'Unione nel pantano dei brogli

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO, 16 GIUGNO 2007

Pagina XV

I rischi del centrosinistra sul caso dei brogli elettorali

FRANCESCO PALAZZO

Sembra che Palermo sia diventata nuovamente un caso nazionale, stavolta non per fatti di mafia ma per i dubbi legati al risultato delle elezioni amministrative. Quella sui «brogli» sembrava una reazione comprensibile e circoscritta ai giorni successivi al voto, legata forse anche alla delusione per un´affermazione che si credeva vicina. Ma adesso - al di là delle giuste verifiche sulle irregolarità del conteggio dei voti - c´è il rischio che sul piano politico la protesta diretta a invalidare le elezioni si riveli una sorta di boomerang per il centrosinistra. L´ultima denuncia riguarda la presunta sostituzione o manomissione delle urne. Diciamo subito che la parola «broglio» è di per sé da utilizzare con molta cautela. Perché broglio vuol dire che si è in presenza di manipolazioni dolose, che in questo caso avrebbero stravolto il consenso depositato dai palermitani nelle urne. Se questa non fosse la convinzione di una parte del centrosinistra non si capirebbero la mobilitazione e la protesta giunte fino al presidente della Repubblica in visita a Palermo, al quale è stato consegnato un dossier sulla vicenda. E non si comprenderebbe la restituzione simbolica dei certificati elettorali, gesto estremo che presuppone una situazione di legittimità democratica davvero lacerata. Senza contare l´allarme sulla vicenda palermitana lanciato da parlamentari regionali, nazionali ed europei. Tale quadro fa propendere verso un´ipotesi di broglio generalizzato. Dall´appello presentato ai vertici istituzionali da quasi tutti i consiglieri comunali eletti nelle file dell´Unione, ma anche dalle ultime denunce sulla mancata corrispondenza tra schede elettorali utilizzate e numero di votanti, emergerebbero tuttavia irregolarità che, se confermate, sembrano più addebitabili a meri errori materiali e a incompetenze diffuse, che a volontarie azioni tese a pilotare verso un risultato omogeneo la consultazione elettorale. Forse si pensa che un possibile totale riconteggio esatto delle schede possa schiudere le porte verso una messa in discussione di quanto sancito dalle urne. Anche se, generalmente, l´assestamento del flusso elettorale, successivo a una riconsiderazione delle schede, porta a premiare statisticamente la coalizione che ha già avuto di più dall´elettorato. Di questa ferrea legge numerica ha già fatto esperienza il centrodestra a livello nazionale, quando si è accorto che, dopo un primo parziale riconteggio, addirittura era l´Unione ad averci guadagnato ancora. In quel caso si partiva da una differenza minima tra centrodestra e centrosinistra. A Palermo la differenza tra le coalizioni è stata maggiore di 23 punti a favore del centrodestra e quella tra i due candidati alla sindacatura ha superato gli otto punti, premiando il sindaco uscente. Un responso abbastanza chiaro politicamente. Peraltro, lo stesso rappresentante del governo, nel rispondere alla Camera dei deputati sulla questione, ha rassicurato che sostanzialmente il voto è stato regolare. Insomma, semplicemente il centrosinistra ha perso le elezioni. Prima se ne fa una ragione, meglio è. Solo il prendere atto di tale solare evidenza può stimolare un approfondito confronto politico, unica via da percorrere se si vuole provare a capovolgere tra cinque anni la sconfitta di oggi. A tal fine non serve - a meno di numeri certi che dimostrino il contrario - agitare l´ipotesi del broglio generalizzato. In Sicilia il centrodestra ha dalla sua una lunga teoria di vittorie, conseguite con metodi preelettorali magari discutibili. Sono, però, successi maturati a suon di voti reali raccolti uno per uno, non inventati da oscuri soggetti armati di gomme e bianchetti in azione nelle notti elettorali.

lunedì 11 giugno 2007

Palermo, i brogli e la politica

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO, 09 GIUGNO 2007

Pagina XIII

Una strategia nell´Unione per riconquistare la città
FRANCESCO PALAZZO


C´è il rischio che il centrosinistra palermitano trascorra i prossimi cinque anni a parlare dei brogli elettorali che avrebbero condizionato e pilotato verso l´esito finale le elezioni amministrative di maggio. Intendiamoci, che anche un solo voto possa essere stornato verso altri lidi e che non si rispetti la precisa volontà dell´elettore, è un fatto che va approfondito affinché non ci si abitui a tali prassi. Che però quella dei brogli sia stata sinora l´unica cifra di confronto politico dalle parti dell´Unione, a quasi un mese dal risultato elettorale, pensiamo non porti da nessuna parte. Sia chiaro, se fossimo davanti ad irregolarità tali da mettere in dubbio i 31.131 voti in più di Diego Cammarata rispetto a Leoluca Orlando e gli 82.662 voti che dividono la coalizione di centrodestra da quella di centrosinistra, ci sarebbero da fare tutte le battaglie di questo mondo. Ci pare, invece, che i fatti portati dal centrosinistra a sostegno delle anomalie non possano alimentare l´aspettativa che il risultato del voto venga sostanzialmente modificato. Ci penseranno, in ogni caso, gli organi preposti a mettere in atto i controlli dovuti per dirimere i singoli casi sospetti e per chiarire alcuni evidenti e incredibili errori. I partiti del centrosinistra farebbero bene, nel frattempo, a tornare alla politica. Prima che la questione brogli si trasformi in un grande alibi, utile per non confrontarsi sulla sconfitta e per non discutere del lavoro che c´è da fare al fine di conquistare democraticamente il governo cittadino alle prossime elezioni. Su tutto questo, per primo, dovrebbe riflettere Leoluca Orlando, che a suon di consenso personale si è dimostrato vero leader, in grado di ingaggiare da solo una battaglia, tanto titanica quanto ardua, contro i battaglioni elettorali della Casa della libertà. Cosa intende fare politicamente l´ex sindaco a Palermo e per Palermo nel futuro immediato e prossimo? È ovvio che Orlando non è l´unico soggetto in grado di riprendere il ragionamento sul filo della politica. Punti di domanda collettivi e possibili risposte pubbliche dovrebbero provenire anche dai diciannove consiglieri comunali che l´opposizione schiererà a Palazzo delle Aquile. Come valutano il risultato elettorale? Come intendono interpretare il ruolo che l´elettorato ha ad essi assegnato? Che programmi comuni hanno? Come intendono interagire con la società palermitana? Cosa impedisce loro di parlare unitariamente alla città in un luogo pubblico prima dell´insediamento al Palazzo di città? È possibile sperare, visto che hanno avuto la soddisfazione di essere eletti, che almeno loro non siano impantanati esclusivamente nella controversia sulle scorrettezze elettorali. Vi sono altri due attori dai quali è lecito attendersi nel capoluogo qualche parola di lucida analisi dopo la sconfitta e più di qualche pensiero sul futuro: i partiti dell´Unione e la cosiddetta società civile a loro esterna. Ma i primi non sanno sfuggire alla consegna del silenzio che li ha contraddistinti durante la campagna elettorale e dopo le elezioni. Alcuni sono muti perché sono quasi scomparsi, gli altri, per intenderci i maggiori azionisti del Partito democratico, non si capisce cosa attendano per uscire fuori dalla lunga notte elettorale. I componenti della società che formalmente agiscono fuori dai partiti, pur avendo spesso casacche politiche ben riconoscibili, si sono tuffati come un sol uomo nella confortante e rassicurante piscina dei brogli. Invece di avviare e stimolare una riflessione stringente sulla presenza a Palermo del centrosinistra e sul ruolo che essi stessi vogliono ritagliarsi al suo interno, hanno costituito un comitato a difesa della democrazia. Benemerito quanto si vuole, ma che non costruirà un briciolo d´alternanza nei prossimi anni. E invece di quest´ultima la città ha fortemente bisogno, più di qualsiasi altra cosa. Il clientelismo e le storture elettorali si sconfiggono e la democrazia si difende con la politica, non crogiolandosi al sole nel ruolo di vittime sacrificali.

mercoledì 6 giugno 2007

Il Traffico in Sicilia un grande problema è!!!!

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ, 06 GIUGNO 2007

Pagina I

LA CITTÀ’
Secondo una ricerca i siciliani sono penultimi per disciplina

Gli "artisti" palermitani del posteggio in terza fila

FRANCESCO PALAZZO


Certo nessuno può spingersi ad affermare che il problema più grave della Sicilia è il traffico. Tuttavia la rilevazione dell´osservatorio Audimob sul posteggio selvaggio, resa nota in questi giorni, merita qualche riflessione. Non fosse altro che per la posizione di testa - o di coda - del Mezzogiorno in questa speciale classifica.A fronte di un 54 per cento d´italiani che dichiara di imbattersi sistematicamente in veicoli che sostano in doppia fila, nel Sud si arriva all´81,1 per cento della Campania e al 76,9 della Sicilia. Penultimi o secondi, fate voi. Il dato siciliano ci pare sospetto. Potrebbe essere il frutto di poco sinceri exit-poll registrati all´uscita dei negozi durante lo shopping del sabato pomeriggio. L´avremmo pronosticato vicino al 100 per cento. A chi non è capitato, almeno una volta nell´ultima settimana, di essere intralciato nei movimenti da chi ha deciso di posteggiare a due passi dal panificio o dalla salumeria di fiducia? Un´esperienza personale. Domenica mattina, dalle parti del mercato del Capo, trovo una macchina situata dietro il mio mezzo. Provo a chiedere in un locale se l´auto era di qualcuno dei presenti. Il segno della testa scrollata verso l´indietro dagli astanti segna un no deciso. Già so che l´operazione è inutile. Il palermitano in questione sarebbe uscito dall´esercizio commerciale giusto nel momento in cui poteva ritenere di aver sbrigato i propri affari. Così accade. L´autista sbuca dopo qualche minuto proprio da quel posto, motivando il suo comportamento con il fatto che non aveva visto le decine di macchine posteggiate regolarmente. E sin qui può scapparci un sorriso. C´è chi s´infila nel proprio bolide facendo finta di non accorgersi che sei lì ad aspettare da un quarto d´ora. In quel caso te la prendi, senza però insistere, ci sono stati casi in cui queste diatribe sono finite male. In fondo ci sono ideali più importanti per cui eventualmente rischiare la pelle. La casistica del posteggio selvaggio è davvero ampia. E vogliamo fermarci alla seconda fila. Perché c´è anche quella disciplina viaria che può paragonarsi alle arti marziali più spericolate. La terza fila. Qui, lo ammettiamo, occorre una particolare preparazione teorica e psicologica. Perché bisogna trovare due giustificazioni diverse. La prima per chi ha fermato la macchina correttamente, la seconda da contrapporre alle proteste di chi si è limitato alla seconda fila e, solo per questo, pensa di potere esprimere un duro giudizio di condanna. Quando si è fortunati può capitare di sorprendere il reo mentre cerca di intrappolare il prossimo. Le soluzioni sono due. O lui si sposta andando a ostruire qualcun altro. Oppure, se è già in procinto di entrare in un luogo, mettiamo al bar, sgancia l´indice che vuole significare un minuto, unità di misura siciliana del tempo che tutto comprende. E allora devi attendere. A chi si è mai negato un fumante caffè? Proseguendo nella casistica, non possiamo non citare le resse di mezzi mobili che si creano davanti alle scuole patrie d´ogni ordine e grado. Se uno non c´è abituato potrebbe pensare a un incidente gravissimo oppure a un agguato mafioso stile vecchi tempi. Niente di tutto questo. È solo l´irrefrenabile voglia dei genitori di parcheggiare le quattro ruote a due centimetri dall´entrata delle scuole per accompagnare o riprendersi i pargoli. A volte la scusa è che non c´è un parcheggio vicino. Trattasi di alibi quasi sempre inconsistente. Basta vedere cosa succede davanti la scuola vicina a un mega parcheggio gratuito, quello di piazzale Giotto a Palermo, dove non si registra affatto nessuna modifica di tale modo di fare. Per il resto, è difficile abituarsi alla visione di auto che bloccano sovente la vita di una città come Palermo, e non in luoghi periferici, ma nell´asse viario principale. Solitamente senza vedere polizia urbana nel raggio di un chilometro. Talvolta le doppie e le triple file sono «custodite» dai posteggiatori abusivi, veri professionisti del settore. Basta lasciare le chiavi e il gioco è fatto.

martedì 5 giugno 2007

Matteo Bonello


Il mese scorso abbiamo appreso che prossimamente più di duecento strade palermitane, vecchie e nuove, cambieranno o avranno un nome. Così ha deciso la commissione toponomastica del comune. Tra i nuovi arrivati il cardinale Pappalardo, il filosofo Norberto Bobbio, madre Teresa di Calcutta e altri personaggi più o meno noti. Sull’argomento è interessante riflettere su un caso, non sappiamo se unico, ma certamente molto raro. Una delle vie più conosciute di Palermo è dedicata a chi una sera di tanti secoli addietro, con tutti i dubbi che una ricostruzione storica di un fatto così lontano nel tempo presenta, avrebbe pugnalato a morte una persona. Parliamo della Via Matteo Bonello, che scorre tra il palazzo arcivescovile e la cattedrale. I fatti sono (o sarebbero) questi. Siamo nel dodicesimo secolo, capo del regno normanno di Sicilia è Guglielmo I, asceso al trono dopo la morte di re Ruggero II. Egli passa alla storia come "Il Malo", chiamato così dai baroni ai quali limita i privilegi feudali. Per perseguire tale obiettivo politico da carta bianca al suo Gran Cancelliere, Maione da Bari, di estrazione plebea. Quest’ultimo per un periodo è primo ministro e quindi la persona più potente dopo il re stesso, al quale si suppone volesse subentrare. Su di lui gravano le accuse, non si sa quanto fondate, di tirannia e malgoverno. Avvia comunque varie riforme che colpiscono economicamente i baroni. Tutto questo sfocia in un rivolta, guidata da Matteo Bonello e progettata dai nobili nel castello di Caccamo. Lo stesso Bonello era stato inviato in Calabria, come ambasciatore dalla corte normanna, per cercare una soluzione diplomatica alle controversie con la nobiltà locale, anche lì in subbuglio. Proprio durante la missione cambia idea. Il 10 novembre 1160, come capro espiatorio della crisi, Maione è assassinato in pubblico. Una tradizione popolare vuole che sia stato ucciso davanti al palazzo arcivescovile, dove ancora oggi sul portone d'ingresso si troverebbe infissa l'elsa della spada del suo giustiziere. L’impugnatura nel portone c’è davvero, non coinciderebbe tuttavia con quelle in uso al tempo dei fatti. Il popolo va in soccorso del Re, che è stato fatto prigioniero, lo libera e costringe Bonello e i baroni a rifugiarsi nel castello di Caccamo, di proprietà della famiglia dei Bonello. Guglielmo I giura vendetta, organizza un esercito e attacca il castello, ma quest’ultimo risulta inespugnabile. Allora fa credere a Bonello di averlo perdonato, cancella le riforme contro i baroni e gli permette di frequentare nuovamente la corte. Bonello casca nel tranello, è assalito, rinchiuso e torturato sino alla morte. Una leggenda vuole che lo spettro di Matteo Bonello vaghi per le stanze del castello di Caccamo. Sulla vicenda storica c’è, inoltre, da dire che Bonello è imparentato con Maione, questi infatti gli ha promesso la mano della figlia. Sembra pure che l’agguato mortale avviene con il silenzio, forse complice, dell’arcivescovo di Palermo Ugo. Il quale, poco prima dell’uccisione di Maione, pare intrattenga con lui, che sembra volesse avvelenarlo, un dialogo molto duro, accusandolo di non proteggere i baroni. In ogni caso la vittima è malvista sia alla nobiltà che dal clero. In qualsiasi modo siano andate le cose, pare dunque che il “merito” più grande per il quale è ricordato Matteo Bonello, a torto o a ragione, è quello di aver ucciso un esponente delle istituzioni, amato o odiato non è questo che importa. Ed è davvero singolare che, non solo gli sia stata dedicata una via, ma che questa ricada proprio nel luogo dove s’ipotizza sia avvenuto il delitto, sottolineando di fatto il motivo dell’intitolazione. Questo è accaduto in quella che ancora oggi si chiama Via Matteo Bonello e che, a prescindere da chi sia stato il suo uccisore, dovrebbe almeno, più correttamente, chiamarsi "Del Gran Cancelliere Maione", al quale comunque è stata dedicata una via ricadente nel quartiere Brancaccio. Oppure si potrebbe intestare la strada, che passa nel cuore della cattolicità palermitana, proprio al Cardinale Salvatore Pappalardo. In quanto all’elsa ancora piantata nel portone dell’arcivescovado, pur non essendo riconducibile a quell’agguato, ma ricordando a tutti un eclatante omicidio politico, non sarebbe male che dalla curia partisse l’iniziativa di estirparla definitivamente. Francesco Palazzo

lunedì 4 giugno 2007

Chi determina i costi della politica

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO, 02 GIUGNO 2007

Pagina I

L´INTERVENTO

I costi della politica nel sistema clientelare
FRANCESCO PALAZZO


In questo momento il primo posto nella classifica dello sdegno popolare è rappresentato dai costi della politica. È in corso - il tema l´ha lanciato proprio "Repubblica" - la polemica sulla scarsa produttività dei deputati regionali a fronte di emolumenti non proprio da fame. Le accuse in realtà colpiscono tutti i livelli di rappresentanza, dalle circoscrizioni al parlamento. Certo, non siamo di fronte a quella che si direbbe una novità assoluta. Il primo atteggiamento dei cittadini, quando si parla di politica, è di disgusto per gli alti guadagni e ai privilegi di chi abita i palazzi del potere. Ciò che difficilmente si ammette, da parte di coloro che s´indignano per stipendi e prebende altrui, sono i conti salatissimi che a volte essi stessi presentano alle pubbliche amministrazioni. Talvolta nel rispetto formale delle regole, spesso ricorrendo a procedure illegali. In ogni caso facendo lievitare in maniera esponenziale e davvero insostenibile le spese pubbliche che in teoria si vorrebbero ridimensionare. Proprio l´altro giorno abbiamo appreso che l´Inps, che gestisce soldi di tutti, ha subito un danno di circa 3 milioni di euro a causa dei falsi braccianti scoperti in provincia di Palermo. Superfluo sottolineare che si tratta della punta di un enorme iceberg. In Sicilia c´è un fiume di gente che ha mani illibate eppure certifica decenni di lavoro nei campi. In fondo è facile puntare ferocemente i costi delle istituzioni pubbliche, è come sparare sulla Croce rossa. Basta che poi le vite private di ciascuno possano muoversi liberamente alimentando la prassi predatoria di tutto ciò che ricade sulle tasche della collettività. Se passiamo dall´agricoltura alla formazione professionale, perché non riflettere sull´enorme spesa pubblica che finanzia corsi che mai hanno prodotto un solo posto di lavoro? E non ci sono solo le risorse interne. Ci si potrebbe chiedere, a esempio, quanto denaro, dell´enorme flusso arrivato con Agenda 2000, è andato ad alimentare rivoli minuscoli o grossi torrenti di spesa inutile fine a se stessa. E se i fondi che arriveranno nei prossimi anni seguiranno la stessa strada. Scendendo poi nello spicciolo, si possono citare i tantissimi, e in Sicilia ne vengono scoperti continuamene, che dichiarano un reddito inferiore per non pagare il ticket sulle medicine, aggravando il buco profondo del settore che poi le casse pubbliche devono in qualche modo coprire. Oppure i giovani che certificano stati patrimoniali da fame per evitare di pagare le tasse universitarie. O quelli che certificano stati familiari inesistenti per incassare corposi assegni. Non parliamo, poi, della ricerca spasmodica di entrare, da parte di molti giovani della nostra regione, tra le fila del precariato. Dove tale approdo non è inteso come la ricerca di un vero lavoro e il premio alla propria professionalità da mettere al servizio della comunità, ma come la possibilità di ottenere un gratuito assegno mensile proveniente sempre dal forziere pubblico. Gli esempi potrebbero proseguire all´infinito. Ricordiamo le continue truffe scoperte nella nostra regione sull´utilizzo dei fondi della legge 488. Che, da strumento per distribuire aiuti statali alle aziende, si trasforma di sovente in un grande supermercato del raggiro e della distrazione di milioni di euro. In tutti gli ambiti citati c´entra sempre la politica, certo. Ma nel senso che i rappresentanti del popolo dirigono un´orchestra sociale che già conosce a memoria lo spartito. Il popolo, da parte sua, critica aspramente chi dirige la compagnia. Guai però a mettere in discussione la musica, perché ciò significherebbe la fine dei tanti pezzetti di spreco individuale che compongono un totale gigantesco. Al cui confronto anche i costi, pur esosi, delle istituzioni impallidiscono. Quante volte ci capita di assistere a veementi proteste corporative davanti agli assessorati regionali contro chi intende abbattere, anche di poco, qualche spesa? Basta ricordare, per tutti, il settore della sanità. In genere l´approccio è il seguente: si tagli pure, si tagli tutto, purché non si tratti del mio orticello. Vista così, la vicenda dei costi della politica assume una dimensione diversa. È più complessa da affrontare, ma lo si può fare con meno ipocrisia.