domenica 4 novembre 2007

Il calcio a Palermo: la massa e il singolo

Le dichiarazioni di fuoco del rosanero Barzagli, in seguito ai fischi e alle contestazioni durante e dopo la partita con il Parma, erano diventate un incidente diplomatico. Ora il calciatore ritira i toni e i modi ma conferma la sostanza. La tifoseria palermitana si sentiva ferita. La cosa, insomma, era seria. Non solo giocano male, sostenevano i molto competenti tifosi, ma pure reagiscono ai fischi e alle male parole che giungono dalle curve, dalla gradinata e dalla tribuna. E chi si credono di essere! Chi paga ha sempre ragione, ecco il punto filosofico della questione. E’ la stessa massima che sino a qualche tempo addietro si poteva leggere in certi negozi. Il cliente ha sempre ragione. Basta pagare e si può dire, fare e pretendere di tutto. Se è il caso, se la misura è colma, anche mettere a ferro e fuoco uno stadio. E successo, succede, accadrà di nuovo. Del resto, se uno paga avrà pur diritto a sfogarsi nell’arena. D’altra parte, urlare insieme alla folla indistinta e irresponsabile, cosa costa? Si può facilmente tirare, più o meno metaforicamente, il sasso e ritirare la mano. Senza essere legati ad un minimo di coerenza. La domenica la squadra si porta alle stelle, il mercoledì è pezza di piedi, da oggi pomeriggio vedremo. Da tale posizione d’estrema forza tutto appare giustificato. Quindi viene considerato il massimo della civiltà, per esempio, dire cornuto all’arbitro. Chi lo fa conigliescamente, immerso e coperto dalla massa, dovrebbe però avere il coraggio di recarsi dal suddetto e comunicargli personalmente la pietosa situazione che lo riguarda circa le sue estremità. Così com’è ritenuto dalla tifoseria normale, sportivo, sommergere di fischi la formazione avversaria quando viene annunciata, o accogliere l’altra squadra con insulti di straordinaria quanto gratuita gravità. Fa anche parte del quadretto “ospitare” i tifosi nemici in una gabbia, sorvegliata a vista, altrimenti chissà cosa accade. Va bene tutto, tanto si paga. Per la cronaca, quasi tutti i tifosi palermitani pagano, oltre il biglietto, anche i posteggiatori abusivi per farsi “custodire” auto e motori. In questo caso però lo fanno a capo chino, senza fischiare chi estorce loro del denaro. Dovrebbero vedersela di persona, senza l’ausilio e il sostegno del gruppo. Allora le aspettative del tifoso tipo calano bruscamente. Meglio trasferire il malcontento dentro lo stadio, tanto nessuno dei protagonisti in campo replica, tranne qualche mugugno tra le righe. Stavolta è andata diversamente, anche con le scuse di venerdì. Il capitano del Palermo ha deciso, e ciò gli fa onore, di metterci la faccia. Non si è nascosto dietro il dito o in mezzo alla curva, non ha usato mezze parole e quelle che ha utilizzato non comprendono nessuno degli epiteti compresi nell’elegante e aristocratica miscellanea tifosesca, che qui non stiamo ad elencare perché ci vorrebbe un saggio che si dovrebbe vietare ai minori. Il messaggio che ha lanciato è il seguente: cercate di darvi una regolata perché il Palermo non è l’Inter, la Juve o la Roma, ma una compagine di mezza classifica che, viste le forze attualmente presenti in serie a, può aspirare ad un onesto piazzamento in zona uefa. Fascia dentro la quale sostanzialmente bazzica, insieme al blasonato Milan. Inoltre. Si afferma che la squadra è senza gioco? Ma i quattordici punti sinora accumulati, non proprio pochi vista le difficoltà del campionato in corso, non stanno a dimostrare che non è così? Tuttavia, al di là delle interpretazioni su ciò che ha dichiarato il capitano e delle valutazioni tecniche, sulle quali, com’è noto, tutti in Italia ci esercitiamo come oracoli, c’interessa sottolineare quanto detto in precedenza. Ossia il coraggio del singolo che afferma il proprio pensiero, scusandosi soltanto per le modalità espressive, contro una moltitudine senza volto. Che, nella stragrande maggioranza, si reca allo stadio non per godersi serenamente uno spettacolo, sia che si vinca sia che si perda. Ma per ululare dagli spalti senza essere (quasi) mai chiamata a rispondere di nulla. Francesco Palazzo

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