sabato 29 novembre 2008

Rifondazione Comunista in Sicilia, due per cento diviso cinque

CENTONOVE
28 novembre 2008
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Sinistra, facciamoci del male
Francesco Palazzo
Dunque, Rifondazione Comunista siciliana esce dal congresso regionale, svoltosi lo scorso fine settimana a Pergusa, divisa in cinque. Per una formazione politica che, per citare un dato elettorale vicino e significativo, non è andata oltre la media del 2,095 per cento in occasione delle provinciali siciliane del 2008, nelle sei province dove ha presentano una lista autonoma, è una sorta di record assoluto. Tale frammentazione, è bene dirlo, non è figlia delle discussioni siciliane interne al partito, ma è la fotocopia, precisa, senza nemmeno un’imperfezione, di quanto accaduto a livello nazionale nell’ultimo congresso di fine luglio. Ma con un peggioramento rispetto al quadro nazionale. Perché almeno lì si è riuscito a eleggere un segretario. Da noi l’individuazione della guida regionale è stata demandata a un organismo politico, suddiviso in cinque, nominato dai congressisti. Per intenderci sullo spessore quantitativo di Rifondazione in Sicilia, diciamo subito che i voti ottenuti dalla falce e martello rifondarla alle ultime provinciali, sempre nelle sei province in cui è andata da sola, risultano essere 32.573. Lo stesso ordine di grandezza che, alle regionali del 2006, in una sola provincia, quella di Palermo, ha totalizzato il candidato più votato, Antonello Antinoro, che ha intercettato 30.302 preferenze. Lo stesso si è poi quasi ripetuto alle ultime regionali, superando ventottomila voti. Facciamo questo riferimento comparativo per mostrare quale è la dimensione del confronto politico siciliano. Un solo candidato, di una sola provincia, di un partito, l’UDC, il terzo, non il primo, per dimensione di consenso, della maggioranza che governa alla regione, equivale, pressappoco, alla diffusione regionale del secondo partito della coalizione di centrosinistra. Chissà se ci hanno pensato i protagonisti delle cinque mozioni che hanno incrociato le armi dialettiche a Pergusa. Eppure, basterebbe una semplice calcolatrice, e non l’elaborazione di chissà quali geniali tesi politiche, per capire quanto sia improduttivo, dannoso, arduo trovare il termine giusto, guardarsi l’ombelico minoritario scavandosi la fossa con lacerazioni interne sino a scomparire in esse o cercare di trovare la risultante perfetta di cinque pezzi di un microscopico due per cento. Lo diciamo da tempo. La possibilità di un’alternanza in Sicilia, oltre che dalla solidità del Partito Democratico, che certo al momento non naviga in buone acque, anzi pare proprio segnato dalla burrasca, passa dalla consistenza numerica, non inferiore al 15 per cento, di una gamba sinistra che torni a farsi capire, e soprattutto a farsi votare, dal corpo elettorale siciliano. Al momento tale parte di centrosinistra, composto, oltre che da Rifondazione, dalla Sinistra Democratica, il cui leader nazionale è un siciliano, Claudio Fava, dal Movimento un’Altra Storia di Rita Borsellino, dai Comunisti Italiani e dai Verdi, pare non interrogarsi, unito, su ciò che occorrerebbe alla Sicilia. Se non da prospettive troppo parziali, sovente, come il caso di Rifondazione mostra, dilaniate e polverizzate oltre ogni ragionevole e comprensibile misura. Il punto è che qui ci va di mezzo non tanto il destino del centrosinistra, che può interessare solo chi lo vota, ma la stessa qualità della democrazia in Sicilia. Senza alternanza vincono sempre gli stessi. La maggioranza di centrodestra che oggi cerca di governare (e di non litigare) alla regione, costituisce, da sola, una forza autoreferenziale. Nel senso che incorpora, basta guadare gli scontri all’arma bianca sul comparto sanità, sia la maggioranza sia l’opposizione. Osservando ciò, ci perdonino gli amici siciliani di Rifondazione, non riusciamo proprio a capire l’utilità, per la nostra regione, dell’ultimo congresso che li ha visti protagonisti.

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