mercoledì 25 marzo 2009

Film sulla mafia: forma e sostanza


LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 25 MARZO 2009

Pagina XVII
Troppe critiche ai film sulla lotta alla mafia

Spesso per gli esperti o i familiari delle vittime il prodotto artistico non corrisponde alle attese. Ma per il grande pubblico il messaggio è quasi sempre efficace
Francesco Palazzo


La storia siciliana recente si è arricchita nel tempo di una particolare casistica, ormai talmente nutrita che potrebbe uscirne fuori qualche densa pubblicazione. Mi riferisco all´impallinamento sistematico dei registi che provano a portare sugli schermi, cinematografici o televisivi, vicende di mafia e antimafia. È ovvio che per quanti hanno conosciuto da vicino le storie - i familiari delle vittime, gli esperti che sanno pure le virgole della storia di Cosa nostra - difficilmente un prodotto artistico può corrispondere alle attese. Ci saranno sempre dei particolari, più o meno evidenti, che scontenteranno. Così come è naturale che non tutte le ricostruzioni siano qualitativamente di buon livello. Ma non è questo il punto, tutto può e deve essere sottoposto al vaglio critico. Bisogna però rendersi conto di quale prodotto artistico ci si trova davanti e quali sono le sue necessarie coordinate. Intanto c´è il bisogno di divulgare e far comprendere contenuti sconosciuti ai più e conosciuti solo da pochissimi. Non è un´operazione semplice. In quest´ottica, a esempio, ciò che può apparire essenziale a un familiare o a uno studioso, non lo è ai fini di una comunicazione generalista. Che deve raggiungere tutti e svolgersi secondo schemi che non possono essere quelli di un saggio storico o di un ragionamento tra esperti. In secondo luogo, si deve tenere presente che ogni ricostruzione portata sul grande o piccolo schermo è sempre una libera interpretazione. All´interno della quale elementi veri si mischiano a invenzioni oppure a esagerazioni di determinate circostanze che magari, quando i fatti si verificarono, si svolsero in maniera leggermente o profondamente diversa. Del resto, se provassimo ad andare, per fare un esempio, a Brancaccio e chiedessimo di padre Puglisi a quanti l´hanno conosciuto, otterremmo un insieme di impressioni davvero molto diverse le une dalle altre. Qual è il vero Puglisi? Ognuno ne metterà in rilievo un tratto. La stessa cosa, perché meravigliarsene, hanno fatto e faranno i registi, gli sceneggiatori, gli attori che hanno voluto e che vorranno rappresentare la storia di don Pino. C´è anche da considerare un terzo aspetto, ossia l´esigenza di brevità. Raccontare fedelmente diversi decenni di storia o complesse biografie, lo si può fare solo nei libri. E anche in questo caso, lo sappiamo bene, ci vogliono più volumi, diversi autori e tanto tempo affinché si abbia una ricostruzione che tende alla completezza. Tutte queste cose ho pensato dopo aver visto "La siciliana ribelle", il film liberamente ispirato alla storia di Rita Atria che il regista Marco Amenta ha portato nelle sale. Le ho pensate dopo, perché prima mi ero invece avvicinato alla visione del film negativamente condizionato dalle polemiche che hanno accompagnato l´opera cinematografica. Man mano che scorrevano le immagini e i dialoghi, cercavo conferma alle impressioni non positive e ai pregiudizi che avevo. Tuttavia, devo dire che alla fine si assiste a una narrazione senza fronzoli e senza retorica. Un racconto abbastanza asciutto. Che, a mio modo di vedere, anche se non sono un profondo conoscitore della vita di Rita Atria, e quindi corrispondo allo spettatore medio, cui sono dirette in primo luogo tali opere, veicola bene l´immagine e l´impegno di una ragazza coraggiosa che ha voluto lottare la mafia staccandosi dalla propria famiglia di sangue. Con, ben rappresentate, tutte le sofferenze e i drammi, vedi la vicenda di Peppino Impastato, che una tale scelta comporta. Questo è il messaggio che doveva passare. Penso che il film sia riuscito a comunicare quanto necessario per far capire quanto è assurda la vita dei mafiosi e quanto può essere dirompente il volto pulito di una ragazza che decide di rompere, per sempre, la catena della violenza. Ritengo che il grande pubblico, più attento alla sostanza delle cose e che sa di guardare un´interpretazione personale, come lo è qualsiasi opera artistica, sia sempre in grado di afferrare il nocciolo delle storie, andando oltre i dettagli e non perdendo di vista l´orizzonte complessivo.

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