sabato 23 maggio 2009

Diciassette anni fa, la memoria in un fumetto

SETTIMANALE CENTONOVE
22 maggio 2009
Pag. 37
GIOVANNI A FUMETTI
Francesco Palazzo

Claudio Stassi è nato a Brancaccio. Aveva quindici anni quando, il 23 maggio del 1992, Cosa nostra fece saltare in aria Falcone, la moglie e tre uomini della scorta. Quel giorno era salito a casa un po’ malmesso, una banda di bulli aveva attaccato lui e i suoi amici. Ma aprendo la porta di casa, vide che qualcosa di molto più tragico era accaduto. In quei giorni disegnò per la prima volta il volto del magistrato. “Con ingenuità e con enorme rispetto”. Lo scrive nell’intervento che chiude il fumetto “Per questo mi chiamo Giovanni”, edito dalla Rizzoli (Pag. 156 - € 18), da poco in libreria. E’ la trasposizione dell’omonimo libro di Luigi Garlando. Perché oggi Claudio, forse a cominciare da quel volto del giudice, ha fatto di quel primo schizzo una professione. Oltre quest’ultima opera, ha già al suo attivo, tra le altre cose, il fumetto Brancaccio, in cui si parla di Padre Puglisi, che ha vinto un importante premio nel settore. Il lavoro in questione è la narrazione di un dialogo tra un padre e un figlio. Cui viene spiegato perché si chiama Giovanni. Il papà, durante una lunga passeggiata tra i quartieri di Palermo, Capaci e l’aeroporto Falcone-Borsellino, nel narrare la storia di Falcone, suggerisce al figlio come comportarsi a scuola contro un compagno prepotente. E’ una lezione sulla mafia e sull’antimafia degli ultimi decenni, per come si può spiegare a un bambino. Ma non è solo teoria. L’adulto rivela come lui stesso, nel non pagare più il pizzo, ha saputo ribellarsi alla violenza mafiosa. “Qui non si vendono più bambole”, risponde il padre agli estorsori, la stessa frase che il figlio utilizzerà a scuola. Il lavoro è stato realizzato con la tecnica degli acquerelli. A colori quando narra del dialogo tra i protagonisti, in bianco e nero negli altri momenti. C’è una sola pagina bianca, quella che dovrebbe raffigurare l’attentato. Dal testo scritto alle tavole del fumetto, il racconto prende un’altra forma, si concretizza in maniera diversa. Ad esempio si vede com’è fatto Bum, il pupazzo che il bambino di quasi dieci anni tiene sempre accanto. La mafia è descritta come un mostro, e forse con un bambino non si può evocare qualcosa di meno evanescente. Si entra però nel concreto quando, seduti al tavolo del ristorante, il padre tira fuori un carciofo. Le cosche, spiega al figlio, sono come le foglie del carciofo. Non manca il riferimento alla puncitina, alla santa che brucia, al giuramento di difendere deboli e indifesi. E forse qui, quando il figlio chiede che male c’è se dicono di difendere gli orfani e combattere le ingiustizie, e il padre risponde che forse un tempo era necessario, c’è una concessione a uno stereotipo, ossia alla differenza tra la mafia di una volta e quella di oggi. E' sono un attimo. Molto suggestiva, ecco l’importanza dell’immagine, l’aspirina immersa in un bicchiere per spiegare la morte del piccolo Di Matteo. Per la prima volta, Stassi, oltre che come disegnatore, si cimenta anche nella sceneggiatura. Con buoni risultati. Non è sempre agevole trasferire in un fumetto un testo che originariamente non è stato pensato per quest’uso. E’ un po’ come fare un film partendo da un romanzo. Spesso uno dei due mezzi espressivi è molto più bello dell’altro. In questo caso va, piuttosto, evidenziato che l’opera originaria di Garlando, libro godibilissimo, non perde niente, anzi guadagnerà il pubblico dei più giovani, più propensi a scorrere immagini che a compulsare testi. La suggestione del disegno riesce molto bene, visto che in questi giorni ricordiamo il diciassettesimo anniversario della strage, a tratteggiare come Giovanni Falcone sia stato osteggiato. A Palermo come a Roma. Per poi, da morto, essere osannato, magari pure da chi l’aveva massacrato con mezzi diversi da quei cinque quintali di tritolo. Giovanni, il ragazzo, e Giovanni, il giudice, hanno fatto i conti con la vita lo stesso giorno. Il primo venendo alla luce, il secondo scomparendo con un semplice gesto di un dito che ha azionato un timer. Una mano dietro la quale, è molto probabile, vi siano state complicità e coperture inquietanti. Provenienti da quella zona grigia senza la quale la mafia sarebbe solo una struttura criminale, molto più facile da colpire. La vita e la morte che s’incrociano nello stesso giorno. Ecco perché il padre ha deciso di chiamare il figlio Giovanni. Per finire, una tavola molto toccante. Quando il bambino, alla sorella del giudice che al citofono chiede chi fosse, risponde: “Giovanni, nato il 23 maggio 1992”.

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