venerdì 29 gennaio 2010

La sfiducia è una cosa seria, anzi impossibile

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 4 del 29/1/2010 - Pag. 13
Come ti azzero la sfiducia
Francesco Palazzo

A proposito di particolarità sicule, vale la pena segnalare una chicca che il legislatore regionale, bontà sua, ha voluto regalarci. Partiamo da un esempio abbastanza noto. A Palermo, tutti lo sappiamo, la maggioranza che ha vinto le elezioni da tempo è andata a farsi benedire. Niente di anomalo, sia chiaro. Se accade allegramente alla regione, perché non può verificarsi negli enti locali? Del resto, per mandare a casa un sindaco che ha perso di vista la sua coalizione, è prevista la mozione di sfiducia. Nel capoluogo se ne è tornato a parlare recentemente. Dopo la bocciatura della manovra di assestamento al comune di Palermo, venticinque voti contro l'amministrazione, diciassette a favore, dal centrosinistra è stata rispolverata, appunto, l'opportunità di tale mozione. L'unico elemento in grado di fare chiarezza in una situazione divenuta, e da tempo, praticamente all'indomani delle elezioni, ingovernabile e ingestibile. Se non facendo pagare un caro prezzo ai palermitani. Al momento la mozione, già presentata dal Partito Democratico, Italia dei Valori e Un'Altra Storia, è arrivata a diciannove firme, che non bastano a metterla in discussione. A tal fine, infatti, ne occorrono venti, i due quinti dell'assemblea, composta da cinquanta eletti. Ma non è questo il punto, la ventesima firma pare che ci sia. D'altra parte, attualmente, gli anti Cammarata sono i quindici consiglieri del centrosinistra, PD, IDV e Un'Altra Storia, i cinque lombardiani dell'MPA e i sei del PDL Sicilia, facenti capo a Miccihé. Ventisei voti su cinquanta sono un blocco consistente, una maggioranza assoluta in grado di chiudere la partita e permettere che si faccia chiarezza. Cosa che solo nuove elezioni, e non solo al comune, possono determinare. Il problema è che la regione siciliana nella legge del settembre 2004, che contiene “Disposizioni concernenti l'elezione dei consigli comunali e provinciali”, all'articolo 31 ha confermato la modifica ad una legge del 1997, che era già stata variata nel dicembre del 2000. In poche parole, la soglia di approvazione della mozione di sfiducia ai sindaci e ai presidenti di provincia è fissata al 65 per cento dei consiglieri assegnati. Quindi, fermandoci alle città, per mandare a casa un sindaco siciliano, questa è la sostanza della norma, occorre molto di più del suo pari grado che si trovi in un'altra città italiana. Dove, al contrario, con una maggioranza assoluta, 50 per cento più uno, secondo la legge nazionale dell'agosto 2000, varata quattro mesi prima di quella dell'ARS, un primo cittadino può essere messo, democraticamente s'intende, alla porta. A Palermo il numero, invero proibitivo, è di 33, i due terzi del consiglio comunale. La regione, nel dicembre 2000, poteva adeguarsi a una norma appena esitata a livello nazionale. Ha preferito proseguire per la sua strada. Questo serve a farci capire come, talvolta, e sicuramente in casi come questo, la legislazione regionale, a regime autonomistico, crea più problemi di quanti invece ne risolva. Non si capisce davvero la razionalità di una tale disposizione. Se non quella d'incollare un sindaco su una sedia, qualsiasi cosa combini. Tra l'altro è davvero strano che a un sindaco per essere eletto, e prevalere sui suoi concorrenti, basti la maggioranza assoluta dei votanti al primo turno, che scende qualitativamente e quantitativamente nell'eventuale ballottaggio, e che invece si debba prevedere la maggioranza dei due terzi per sfiduciarlo. In tal modo si consente che un primo cittadino possa perdere allegramente pezzi della sua maggioranza iniziale, come sta accadendo nel capoluogo e altrove in Sicilia, e rimanere sempre in sella. Si capisce bene che in tal modo la democrazia rappresentativa negli enti locali siciliani viene stravolta. A questo punto l'Assemblea Regionale Siciliana, non appena si ricorderà di essere un parlamento legislatore, oltre che un teatro di guerra, dovrebbe porsi il problema di fare rientrare tale incomprensibile anomalia rispetto al resto d'Italia. In questo momento, applicando la legge che c'è, paradossalmente, un sindaco che a Milano o a Roma dovrebbe dimettersi avendo contro la maggioranza semplice su una mozione di sfiducia, a Palermo o a Catania potrebbe addirittura trarne nuova forza. Prevalendo sugli oppositori che, pur essendo in maggioranza, anche larga, non riescono a raggiungere la proibitiva vetta del 65 per cento.

venerdì 22 gennaio 2010

Numeri e politica

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 3 - Pag. 13 - 22/1/2010
Quelle virtuose taroccate
Francesco Palazzo

Una delle prime notizie di quest'anno ha sorpreso un po' tutti. Se eravamo ad aprile si poteva pensare al classico pesce che tradizionalmente apre il mese. Ma è tutto rigorosamente vero. I conti del comune di Palermo e Catania, riferiti al bilancio del 2008, sono tra i più virtuosi, come certificato da un decreto ministeriale. Si tratta di un provvedimento che notifica dei bonus di spesa che il governo ha ricevuto dall'Europa in deroga al patto di stabilità. Opportunità che Roma ha trasferito ai comuni. Stilando una graduatoria su chi può spendere più e chi può farlo in misura minore. Vediamo di ragionarci su un attimo. Le valutazioni sui bilanci degli enti pubblici, come dimostrano le proteste dei sindaci di Reggio Emilia e Bergamo, premiate incredibilmente, insieme a Firenze e a Bolzano, in misura minore rispetto a Catania e a Palermo, risultano, almeno nel caso specifico, abbastanza controverse. Pare che, infatti, ad esempio, il comune palermitano si sia classificato ai primi posti perché gli è stato consentito di non inserire le somme stanziate per i tremila precari stabilizzati. Ma, in ogni caso, così come le classifiche sulla qualità della vita, che spesso ci penalizzano, e che commentiamo in tal senso, pur esponendosi anch'esse a valutazioni critiche circa i parametri utilizzati, anche quest'ultima graduatoria va presa per come ci si presenta. Comprendiamo, quindi, il fatto che l'amministrazione del capoluogo di regione, (e possiamo supporre anche quella catanese), sia contenta di tale attestazione. Ma lo sono allo stesso modo i palermitani? Domanda non oziosa. Visto che chi guida l'amministrazione ha dovuto ammettere che, a fronte di improbabili virtuosismi sui numeri, “le nostre disponibilità finanziarie ci hanno costretto a ridurre i fondi destinati alle attività sociali, alla cultura, alle manutenzioni”. Cioè il comune di Palermo si trova talmente messo male in quando a disponibilità finanziare che è stato costretto a penalizzare quelli che sono i tre motori principali di ogni ente locale. Scommettiamo che a Bergamo, Reggio Emilia, Bolzano e Firenze ciò non è avvenuto? Se i tre ambiti vengono sacrificati, la comunità soffre nelle fasce più deboli, non cresce quel bene immateriale, ma fondamentale, che è la cultura, in qualsiasi forma si possa essa intendere, e non si mette mano, per come si dovrebbe, a interventi ordinari di manutenzione. I conti dei bilanci, più o meno taroccati, e quelli della politica dovrebbero procedere di pari passo. Se c'è un allineamento tra i primi e i secondi, allora c'è ragione di essere contenti della propria azione. Ma se si butta a mare la politica, cioè se si mortificano aspetti essenziali della comunità che si governa, i conti non tornano più. Nel senso che se il comune di Palermo avesse tenuto il livello delle attività sociali, di quelle culturali e delle manutenzioni, per tacere d'altro, in una posizione non diciamo eccellente, ma appena discreta, ecco che i conti della politica avrebbero affogato nella disperazione i conti di carta. Può essere che questa sia un'ipotesi di lavoro utile anche per il comune di Catania? Se io ho solo qualche euro al giorno per campare, e non spendo nulla neanche per nutrirmi, per paura di rimanere completamente al verde, posso ben dire di avere i conti a posto, ma posso anche candidarmi per occupare un bel loculo al cimitero. A questi ragionamenti è legato un altro problema politico, che, pur essendo basilare, non trova posto nel dare e avere dei bilanci. Palermo e Catania sono metropoli in cui, nell'ultimo decennio, è tornata a prevalere la sommatoria, confusa e predatoria, di tanti egoismi personali. Non c'è un'idea condivisa di città. Se un visitatore prova a farsi una passeggiata, nei vari salotti dei due centri, così come nelle tante periferie, vedrà tanti soggetti che si riconoscono solo in se stessi. Ora, chi governa deve indicare quale città ha in mente. Deve trasmettere questa idea e farla capire a tutti. E', questo, un contributo importante affinché un insieme indistinto di persone diventi una comunità viva, unita. Anche, e soprattutto, in questo si misura la presenza di quanti sono chiamati ad amministrare. Possiamo essere ragionevolmente sicuri che a Reggio Emilia, Bolzano, Firenze e Bergamo i conti della politica e quelli finanziari vadano di pari passo. E che non si cerchi di apparire in regola con i bilanci a scapito dei diritti elementari di cittadinanza. E che, soprattutto, nelle città citate esiste un tessuto di condivisione urbana collettiva che è il vero identikit di una comunità. A noi rimane soltanto, quando ci riesce, tappare, attraverso equlibrismi di bilancio o piani di rientro, le falle di una spesa pubblica in perenne bolletta. E' quello che ci resta. Perché i buchi della politica, ormai, sono talmente compromessi che neanche li mettiamo più nel conto.

sabato 16 gennaio 2010

Mercati e mercanti

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 16 GENNAIO 2010
Pagina XXIII
LA BANDIERA DELL´AUTONOMIA NON CI SALVERÀ DAL TRACOLLO
Francesco Palazzo

L´amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, stavolta da Detroit, è stato più chiaro e meno caustico dell´ultima volta. Qualche settimana fa aveva chiosato che tutto si poteva risolvere spostando la Sicilia e portandola vicino al Piemonte e alla Lombardia. Adesso ci dice che spesso i produttori non fanno sino in fondo i conti con la crisi, al posto di chiudere gli impianti li tengono aperti in cambio di fondi pubblici. Ha parlato di nazionalismo economico. Nel caso della Regione siciliana, che ha già sventolato sotto il naso della Fiat un assegno da quattrocento milioni di euro, da investire in infrastrutture, per scongiurare la chiusura dello stabilimento di Termini, si può parlare di regionalismo economico guidato dalla mano pubblica. Su questo la politica regionale si trova sempre tutta d´accordo. Ne è una prova l´ordine del giorno che dà mandato al governatore di andare a Roma e provare a fermare le intenzioni, pare definitive, che provengono da Torino. Sembra l´ennesima puntata della fiction sulla Sicilia offesa e umiliata dal Nord, dopo che noi abbiamo dato braccia e menti negli anni dell´emigrazione. Che per la verità non sono finiti. E certo non per colpa della Fiat. Un flusso inarrestabile di giovani che vanno via, spesso con percorsi scolastici eccellenti. A quante fabbriche chiuse equivale tutto questo? Difficile fare una stima, si tratta di numeri comunque elevatissimi. Solo che siccome il fenomeno avviene goccia a goccia, e non in maniera traumatica come nel caso di Termini, nessuno se ne fa carico. Quando i nodi verranno tutti al pettine, perché prima o poi accade qualcosa, un punto di non ritorno, come il niet di Marchionne, e ci ritroveremo sempre più lontani dalle regioni più produttive, potremo sempre affermare che da Roma, dal Nord, da chissà dove, siamo sfruttati e lasciati a noi stessi. Ora abbiamo ritirato fuori dalla soffitta la nostra bella bandiera autonomistica. Che se ne faranno gli operai di Termini e le ragazze e i ragazzi che vanno via, di questo particolarismo anacronistico, retorico e sprecone, è facile immaginarlo. Non gliene può importare di meno. La politica siciliana, ovviamente, fa finta di non accorgersene, come quei passeggeri che ballavano mentre la nave affondava. Se ne esce tirando fuori la moneta sonante e non capisce che non possono essere risolti sempre così i problemi. Lo puoi fare per decenni e affondare le casse pubbliche per salvare questo e quello, ma principalmente per salvare una politica indecente. Il gioco riesce quasi sempre. Tuttavia, a un certo punto ti trovi davanti uno che ragiona da imprenditore e ti dice, né più né meno, che non può sostituirsi alla mano pubblica nel creare o conservare il lavoro. Ma la politica siciliana non vuole sentire ragioni. Sbraita, si sbraccia, protesta, si appella, marcia a fianco dei lavoratori. Come se fosse la spettatrice e non la causa di questo deserto. Dall´altra parte ancora niente. Insomma, ogni tanto qualcuno ci ricorda che stiamo affondando. Oggi è Marchionne a farlo, domani accadrà qualcos´altro, dopodomani ancora un´altra sberla di questo tipo. Abbiamo l´impressione che, d´ora in poi, accadrà sempre più spesso. E la classe dirigente di quest´isola, come quel pugile dal volto tumefatto dai cazzotti che non vuole ammettere la sconfitta, rimarrà sempre sul ring. Progettando Partiti del Sud, Pdl Sicilia, Pd a vocazione regionalista e quant´altro occorre a fare di noi, più che un laboratorio, quasi macchiette nel panorama politico nazionale. Maggioranze che si sciolgono, opposizioni che ondeggiano, governi che passano, senza problema alcuno, dalla fase uno a quella due per approdare a un bell´esecutivo di minoranza che cercherà di sopravvivere qualche mese. Non è vero che tutto ciò avviene per salvaguardare gli interessi della Sicilia. Perché, come dimostra la chiusura di Termini, gli interessi della nostra regione stanno andando a farsi benedire. Quello di cui abbiamo bisogno non è più Sicilia, ma più Italia e più Europa. Poiché, però, sul ponte di comando la festa deve continuare, nessuno si rende conto che la bandiera della Sicilia vittima ormai è un inutile passatempo di società. Che serve a raccogliere qualche voto e a far appassionare ancora molti ingenui. Ma che alla fine è il lacero vessillo della nostra inadeguatezza sociale, economica e politica.

venerdì 15 gennaio 2010

Attenzione, piovono riforme.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 2 del 15 gennaio
Pagg. 10 e 11
Se il riformismo è una scialuppa
Francesco Palazzo

Quando non si riesce a fare politica ci si appiglia alle riforme, come il naufrago al pezzo di legno che forse lo salverà o il malato al simulacro del santo protettore. Da decenni il riformismo delle parole è un’arma formidabile, utilizzata per distrarre le masse. Chi è incapace di affrontare i settori essenziali della vita pubblica, per rendere efficienti i quali già ci sarebbero tutti gli strumenti ordinari, basterebbe volerli e saperli applicare, rivernicia tutto con rivoluzioni copernicane. Le quali, nove volte su dieci, non risolvono proprio un bel niente e si sostanziano, basta non farsi distrarre dai giochi di prestigio, in un aumento di costi, un peggioramento dei servizi e nuovo clientelismo. Ora l'orizzonte riformistico sta colorando la crisi in cui agonizza l'amministrazione regionale, giunta al terzo governo di legislatura, e non è finita qui. Roba che fa impallidire la prima repubblica. Periodo che si è aperto all'indomani delle elezioni. Con un presidente delle regione e una maggioranza non in grado di gestire i numeri sovrabbondanti di cui disponevano. Se le parole e i comportamenti di questi ultimi mesi avessero un minimo senso condiviso, si sarebbe già spenta la luce e convocate le elezioni. Le regole sono queste, ma in Sicilia valgono altri parametri. Non si capisce, peraltro, come una parte consistente di coloro che non sono stati capaci di svolgere un compito preliminare a qualsiasi azione politica, ossia tenere unita una coalizione, possano presentarsi come gli alfieri del riformismo in salsa siciliana. Lo scacchiere riformista è ormai affollato all'inverosimile, come i bus nelle ore di punta. Infatti, pure l'UDC e il PDL lealista, rimasti fuori dai giochi, si dichiarano devoti alle riforme. Poiché noi non ci facciamo mai mancare niente, sotto il nostro cielo accade anche un'altra stranezza. L'opposizione, che in qualsiasi altro posto al mondo chiederebbe di tornare al corpo elettorale, vuole aiutare, e lo ha fatto, come diremo, una prima volta già in campagna elettorale, il governatore siciliano senza maggioranza. Cosa che in una democrazia, anche la più scalcagnata, può creare problemi insormontabili. Per realizzare, of course, le riforme che occorrono alla Sicilia. Ma un conto è discutere con una maggioranza in grado di badare a se stessa, un altro è farlo con una minoranza. Perché, in tal caso, si tratta di un pieno sostegno politico-parlamentare. E del resto proprio tale viene considerato dal presidente Lombardo, che ha già incorporato pubblicamente il PD, arruolandolo senza se e senza ma. I democratici possono utilizzare tutti gli eufemismi possibili, ma, se non vogliamo girare intorno alle parole e cadere nel ridicolo, la sostanza politica è che ormai la maggioranza comprende anche loro. Il punto è capire se il gioco vale la candela. Il terzo esecutivo regionale ricorda i governi balneari del bel tempo andato, quando la DC litigava con tutti e con se stessa, mettendo in campo governicchi e cercando poi in parlamento i voti per sopravvivere qualche mese. In questo caso, visto che la bella stagione è alle spalle, si tratterebbe di un esecutivo inverno-primavera. Giacché esponenti del Partito Democratico hanno fatto capire che a giugno si procederà con un ingresso organico in giunta di chi ha perso le ultime elezioni con un cappotto di proporzioni gigantesche. E con una candidatura alla presidenza inconsistente e senza reali motivazioni. Ed ancora il presidente ringrazia di questo primo grazioso contributo alla causa. Resterebbe da capire, rimarrà un mistero, gaudioso o doloroso fate voi, perché mai i democratici si sono tanto accapigliati nel congresso che è seguito alle primarie, se adesso le due principali aree che hanno incrociato le armi sono d'accordo nel lanciare questa ciambella di salvataggio a Lombardo. Che è stata infiocchettata, il periodo era quello giusto, come un pacco regalo di natale, con dentro la solita invocazione retorica che si perseguono gli interessi dei siciliani. Che, però, non hanno bisogno di un riformismo prêt-à-porter, ma di un governo e una maggioranza stabili. Che, dopo aver vinto le elezioni, sappiano realizzare, semplicemente, i punti programmatici esposti in campagna elettorale. Il Partito Democratico intende allearsi strutturalmente con gli autonomisti e con altri pezzi di ceto politico vicini a Lombardo? Lo faccia pure, ma presentandosi al più presto alle urne. Chi sostiene che il voto sarebbe una sciagura, ha davvero uno strano rapporto con la democrazia. Coloro che affermano che tornerebbe a vincere il centrodestra, hanno pure tormentati rapporti con se stessi. E non capiscono che se il centrodestra vince sempre alla grande, probabilmente è perché quando si sbaglia la prima, la seconda, la terza campagna elettorale, magari è il caso di farsi un attimino da parte. O la Sicilia potrà tornare al voto quando il centrosinistra sarà pronto a vincere? Non vorremmo che la situazione politica siciliana trovasse descrizione nella famosa battuta del cabarettista Makaresko. “Molti dei nostri uomini politici sono degli incapaci. I restanti sono capaci di tutto”.

venerdì 8 gennaio 2010

Baci vietati e la bufala dell'influenza

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
8 1 2010 - n. 1 - Pag. 55
INFLUENZA, FUNERALI CON DIVIETO
Francesco Palazzo

Anche se molti avevano avvertito che era tutta una bufala, si temeva lo stesso che il picco dell'influenza suina potesse verificarsi intorno alla fine del mese e dell’anno. Niente da fare, sinora calma piatta. Vedremo cosa accadrà nei mesi più freddi. E dire che per gli abitanti di Favara il coprifuoco è iniziato il 10 dicembre. L’ordinanza dell'amministrazione comunale, supponiamo ancora in vigore, vieta, per scongiurare la trasmissione del virus, baci, abbracci e strette di mano durante i funerali, sia presso la casa dei defunti che dentro il cimitero. Abbiamo appreso della cosa prima che il provvedimento entrasse in funzione. Ma, ci chiediamo, la disposizione sta trovando applicazione? Perché dalla penna di un sindaco può uscire di tutto, come la multa alla dirigente scolastica di Chiusa Sclafani, rea di non avere appeso il crocifisso a scuola. Ma poi occorre misurare gli effetti, dalla carta alla vita, di queste iniziative. La moltiplicazione dei registri, al fine di evitare contatti fisici, dove segnalare il proprio cordoglio, è indiscutibilmente adeguata. Purtroppo la perentoria prescrizione lascia drammaticamente scoperte altre fonti di contagio. Per i siciliani la “vasata” non è certo praticata nei soli frangenti di dolore. Ci sono tanti altri momenti in cui i baci, gli abbracci, le strizzate corporee sino a farsi male, si sprecano. Basta pensare a matrimoni, battesimi, cresime, prime comunioni, compleanni. L’amministrazione di Favara non poteva pensare a tutto. Altri primi cittadini, se il virus dovesse ripensarci e presentarci il conto nei primi mesi del 2010, dovranno coprire gli eventi, questa volta lieti, in cui un certo numero di persone viene a stretto contatto. Certo, bisognerà prepararsi ad affrontare qualche attimo d’imbarazzo. Prendete il rito matrimoniale. Nel momento in cui il sacerdote dice agli sposi di baciarsi, ecco il sacrestano che passa il registro ove trasferire lo schioccare del bacio non dato. Non sarebbe un buon inizio. E all’uscita della chiesa, o in sala, come si potrebbe fare per scansare le veementi manifestazioni d’affetto e le palesi felicitazioni? Un problema. Non parliamo, poi, delle statue dei santi, presenti in massa nelle chiese cattoliche. E' tutto un bacia-bacia promiscuo, il rischio contaminazione è altissimo. In questo caso, se qualche sindaco si facesse venire la felice idea di impedire le manifestazioni d'affetto verso i simulacri, sappia che rischia l’incidente diplomatico con uno stato straniero. Restando, per il momento, a Favara, ci si può chiedere come stanno agendo la polizia municipale e le forze dell’ordine, incaricate dell’esecuzione dell’ordinanza funebre. Immaginiamo pedinamenti sotto copertura nei dintorni della casa del soggetto passato a miglior vita, intercettazioni ambientali per incastrate i più esperti nella baciata a tradimento, nell’abbraccio furtivo, nella stretta di mano lampo. Poi si devono sorvegliare i camposanti. Vigili urbani con occhiali scuri, vestiti in borghese, all’ombra dei cipressi, che spiano i movimenti di chiunque intenda avvicinarsi per avvinghiare la vedova con la tripla infrazione. Stretta di mano iniziale, bacio d’ordinanza e abbraccio finale. Sarà una fatica immane interporre, tra il desiderio del contatto fisico e il corpo dolorante della signora, proprio all’ultimo momento, un bel registro immacolato su cui far scorrere l’inchiostro del dolore. Se si vuole evitare il parapiglia, si può procedere a funerali notturni e strettamente privati. Pubblicizzando discretamente le dipartite a cose fatte e dispensando, ovviamente, altrimenti saremmo punto e a capo, dalle visite. Oppure si può riproporre la visione degli ultimi minuti di Nuovo Cinema Paradiso. Il protagonista ha la possibilità di vedersi, uno dietro l’altro, tutti i baci che la censura del prete aveva fatto tagliare. Uno spezzone di pellicola di una bellezza unica e liberatoria. Perché i baci negati, più che scongiurare l’influenza, fanno male alla vita. Molto più di un termometro che segna un’alta temperatura.