venerdì 23 marzo 2012

Concorso esterno. La mafia ci crede.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 11 del 23 marzo 2012
Ma quale concorso esterno!
Francesco Palazzo

Non ci crede più nessuno al concorso esterno in associazione mafiosa? Ci credono senza dubbio, dall'unità d'Italia ad oggi, le associazioni mafiose. E questo dovrebbe bastare per crederci anche noi. Lo abbiamo ripetuto sino alla noia. Senza un gradimento esterno, che può andare dalla semplice collusione alla vera e propria correità, di personaggi che gravitano nella cosiddetta area grigia, le mafie avrebbero avuto breve vita. Le mafie, Cosa nostra in particolare, prima ha servito la politica, poi se ne è servita. La politica, prima ha avuto in mano la barra del timone, poi si è fatta sopraffare dalle cosche. Dal dopo stragi, cioè dal biennio 1992-93, il rapporto mafia-ambienti esterni si è fatto più magmatico, meno diretto. E, per tale motivo, ancora più pericoloso. Seguire i soldi e gli interessi e molto più complicato che andare dietro alle tracce di sangue. Quest'ultimo ventennio, contraddistinto dalla cattura di latitanti eccellenti e anche da condanne altrettanto importanti di pezzi della classe dirigente dell'isola proprio per concorso esterno, che ormai hanno il bollo dell'ultimo grado di giudizio (a proposito del fatto che non ci crede più nessuno), doveva rispondere alla necessità di tranciare i rapporti tra la galassia mafiosa, da un lato, la politica e l'economia, dall'altro. Ci ha tentato la magistratura, alla quale però, come vediamo, basta un risultato avverso in un processo, peraltro non ancora conclusosi, per essere messa alla berlina. Non ci ha provato per niente la politica. Che sta sempre sulla soglia dei tribunali per commentare condanne o assoluzioni. Non mancando mai, non so se ci avete fatto caso, non appena un pezzo grosso viene indagato o rinviato a giudizio, di fargli arrivare la propria solidarietà. Come se la magistratura fosse un ordine eversivo che ogni tanto si mette a perseguitare ingiustamente qualcuno. Il risultato di tutto questo è davanti ai nostri occhi. Da un secolo e mezzo, la lotta alla mafia segue più gli umori, l'emotività, la convenienza politica e non i ragionamenti coerenti basati sui fatti. Certo, ogni tanto, qualche ora prima di tutte le scadenze elettorali, il solito buontempone si esce fuori il codice etico. Che non serve a nulla, se non a perdere tempo e, in qualche caso, pure la faccia. Visti i figuri che si continuano a mettere nelle liste, in barba a qualsiasi eticità. Sia chiaro, anche la magistratura non è che scherza in quanto a scontri tra fazioni. Al momento, pare, le correnti sono due. C'è chi preferisce soltanto addebitare singoli reati ai colletti bianchi, ritenendo in tal modo, pur facendo meno rumore, di ottenere il massimo risultato finale. C'è chi invece, davanti a quadri probatori abbastanza rilevanti, pensa che sia corretto ricorrere al concorso esterno in associazione mafiosa. E ci sono state condanne e assoluzioni sia in un caso che nell'altro. Mica i processi devono concludersi tutti allo stesso modo. Invece, a seconda che si condanni o si assolva si alza il solito polverone, In un senso o in un altro. Si fanno due passi in avanti, ma solo apparenti, se le procure vincono, e poi, siccome c'è una sentenza contro, se ne percorrono quattro indietro. Sino al prossimo responso sfavorevole all'imputato. E allora si farà un'altra virata. A chi faccia bene questo tipo di andatura sinusoidale nella lotta alle cosche è semplice capirlo. Certamente non ci guadagna la democrazia, sicuramente ci guadagnano le mafie. Da tanto tempo, da più parti, si chiede al legislatore di tipizzare meglio questo tipo di reato. Ma non è mai il momento giusto. Una volta perché c'è la maggioranza di centrodestra larga e si teme uno stravolgimento della fattispecie di reato. Un'altra volta perché c'è sì un governo di centrosinistra, ma siccome i numeri sono scarsi, allora si teme di non farcela. Ora c'è il governo tecnico. Ma il ritornello è lo stesso. Meglio non toccare niente. Insomma, il parlamento non si vuole occupare di un reato che coinvolge spesso la politica. Non l'ha fatto ieri, non lo fa oggi, probabilmente non lo farà nemmeno domani. Lo scioglimento del nodo mafia-politica, così facendo, rimarrà tutto sulle spalle della magistratura e sulla mutevolezza di giudizio delle singole corti giudicanti. Il potere mafioso, in tutte le sue articolazioni, non mancherà di apprezzare.

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