venerdì 11 maggio 2012

Elezioni a Palermo: tanti errori politici e zero dimissioni.


Francesco Palazzo

Quando si perde con numeri così evidenti e persino imbarazzanti, come prima cosa si ammette subito la sconfitta. Poi si discute del resto. Non l’ha fatto il competitor di Orlando, parlando addirittura di referendum/ballottaggio tra monarchia e democrazia (a tal proposito, basta compulsare qualche libro di storia per sapere che a Palermo vinse la monarchia). Si sono guardati bene dal farlo quelli del Partito Democratico. O quello che ne rimane. Sia in termini numerici che politici. Sino alla vigilia erano convintissimi, i maggiorenti del PD, di avere il vento in poppa. Bastava solo attendere la messe di voti che si sarebbero raccolte nelle urne. Quando tutti i sondaggi, più o meno di parte, e l’umore della città, che conta molto più dei sondaggi, davano Orlando in forte ascesa. Ma dove vivono, verrebbe da chiedersi. Può un partito, o quel che ne rimane, farsi travolgere da una mera operazione elettoralistica, temeraria quanto improbabile, e perdere, a tal punto, il bandolo del ragionamento? Certo, adesso la resa dei conti si farà più dura. Se all’indomani delle primarie al segretario Lupo, che pure aveva ottenuto un risultato più che dignitoso, era stata indicata la porta, da oggi dietro l’ufficio dimissioni del PD dovrebbe esserci la coda. Ma ancora nessuno si è presentato. A proposito di primarie. Di cosa erano rappresentative? Non certo del PD, visto che una buona metà dei suoi elettori ha votato Orlando. Né, ancor meno, dell’intero centrosinistra. Sono state soltanto un assalto alla Bastiglia. Una battaglia, vinta sul filo di lana, e spacciata per chissà cosa. Il voto di domenica e lunedì ha spazzato via tutto come un foglio di carta stropicciato e ingiallito. Quanto tempo è passato dai gazebo? Poco più di due mesi e oggi sembrano un’eternità. Un’altra era politica. Sia chiaro. La Sicilia, o Palermo, non sono mai state laboratorio di nulla. Ogni accadimento elettorale e politico regionale presenta risvolti che sono molto più locali di quanto si è portati a credere. Però, se c’è un dato di novità, in questi ultimi anni, non è affatto il cambio di maggioranza all’ARS, che è stato venduto come la quintessenza dell’abilità strategica, e invece è l’eterno levati tu che mi ci metto io, ma proprio questo voto di Palermo. Che non è il risultato del lavorio del ceto politico, che impasta la farina della politica come meglio crede, ma la volontà del popolo che va al voto. Quello di cui il PD ha avuto evidentemente paura a livello regionale, e probabilmente a ragione, visti i risultati del capoluogo, rimandando sine die l’appuntamento con i seggi, che ora gli viene imposto dal maturarsi di altri eventi. Nel capoluogo si scioglie il centrodestra. Non è una sorpresa. Che le tre candidature su cui si è spalmato il quadro politico che aveva vinto a Palermo nel 2007 erano una più debole dell’altra, era risaputo sin dalla vigilia. Ora se le danno di santa ragione. Ma nessuno che rimetta il mandato. Tuttavia, il vero risultato inatteso, se proprio vogliamo essere obiettivi, è il responso che il corpo elettorale, a fronte della gioiosa e baldanzosa macchina da guerra che si era mossa, ha tributato a Fabrizio Ferrandelli. Neanche il 18 per cento e più di dodicimila voti in meno rispetto alle liste che lo sostenevano. Non solo questa candidatura non ha sfondato nell’elettorato meno interessato alla politica, ma non è riuscita neanche a convincere una bella fetta di votanti delle stesse liste che la sostenevano. E c’è dell’altro in questo risultato. I vendoliani di Sinistra e Liberà, praticando un incomprensibile suicidio politico, non presentandosi con il proprio simbolo, anche in questo caso ancora niente dimissioni, sono sostanzialmente scomparsi da Palermo. Adesso c’è l’autocritica di Vendola, ma giunge quando i buoi sono scappati. Subito dopo il voto si è detto che Orlando avrebbe inciuciato prendendo i voti del centrodestra. Ma in una città che per dieci anni è stata la roccaforte del berlusconismo, e che in parte ancora lo è se andiamo a vedere bene le percentuali complessive delle liste, il consenso per vincere non poteva che venire dai palermitani che non vedono più nel centrodestra un punto di riferimento. Mica i voti si potevano importare da Bologna o da Perugia. Si dovrebbe anche dire dell’indecenza di uno spoglio che ha tempi, non diciamo europei, ma neanche mediorientali. Ma sparare sulla croce rossa non è elegante. Poi pare che adesso bisogna abbassare i toni.





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