domenica 28 aprile 2013

Non pagare in autobus? Sai che novità per i palermitani.

LiveSicilia
28 aprile 2012

Chi non paga sugli autobus e non vuole la rivoluzione
Francesco Palazzo
     
http://livesicilia.it/2013/04/28/chi-non-paga-sugli-autobus-e-non-vuole-la-rivoluzione_305732/

Sfondano una porta aperta gli studenti palermitani delle scuole superiori che all'inizio della settimana scorsa, annunciando un corteo poi svoltosi venerdì, hanno appeso dei cartelli dentro gli autobus invitando a non timbrare il biglietto. E' come chiedere agli italiani se vogliono pagare le tasse o ai commercianti se sono felici di emettere lo scontrino fiscale. I passeggeri si sono uniti alla protesta. Figuriamoci. Magari gli studenti non lo sanno, ma quello di non obliterare il ticket nei mezzi Amat è uno sport diffusissimo. La protesta ha al centro la precarietà economica ed esistenziale che ci sta investendo in pieno. Su uno dei cartelli esposti c'era scritto che si vuole il reddito minimo garantito, case, trasporti e sanità gratuiti per tutti i disoccupati e i precari. Anzi, un altro messaggio inneggiava a trasporti pubblici gratuiti e funzionanti garantiti a tutti e tutte indiscriminatamente.

Forse ai ragazzi sfugge un piccolo particolare. Non pagare un servizio pubblico di base, come quello del trasporto, è un danno e non un favore che si fa alle categorie svantaggiate che la loro iniziativa intende proteggere. Se facciamo andare in default, e già la situazione dell'Amat è abbastanza pesante anche per altre ragioni, il trasporto pubblico, esortando la gente a non obliterare il tagliando, cosa resterà per muoversi, se non i mezzi privati? E chi può permettersi, secondo i nostri studenti, di spostarsi a piacimento sul proprio mezzo giornalmente, con quello che costa il carburante, se non chi appartiene a quelle fasce di reddito che si possono ancora consentire uno stile di vita al di sopra della media? Probabilmente i nostri studenti dovrebbero rendersi conto che solo diminuendo quell'ampia fascia di portoghesi che giornalmente bivaccano sui mezzi Amat a scrocco, e non estendendola come loro propongono di fare, si può permettere all'azienda di percepire più incassi e così pensare, eventualmente, ad una riduzione dei costi per l'utenza.

Inoltre, propendere ancora per una politica dell'assistenzialismo di massa (case, reddito e servizi gratis) non è, come quella di non sborsare un centesimo per il biglietto, esattamente una novità. Quell'assistenzialismo che loro vorrebbero è lo stesso, che lo sappiano o no, che ha fregato e sta fregando la loro generazione. Il precariato a vita in cui si dibattono i loro genitori è la prima causa del futuro incerto che li attende e delle tante porte chiuse che troveranno non appena finiranno di studiare. A meno che non cambino registro valutando la possibilità di vederla in un altro modo. Lasciando per sempre il solco già arato molto bene dalle generazioni precedenti, iniziando a pretendere il riconoscimento del merito e mettendo in circolo idee nuove. Cercando di non lisciare il lupo per il verso del pelo (incoraggiando a non pagare il biglietto fanno proprio questo), ma affrontando con coraggio i veri nodi della questione che li vede coinvolti.

Non sarebbe male, ad esempio, presentarsi in piazza insieme ai tanti lavoratori dei vari bacini di precariato che protestano e chiedere alla politica di mettere, per sempre, un punto a tutto ciò. Sia chiaro, chi non ce la fa va aiutato. Ma la vera rivoluzione, cari ragazzi e ragazze, se proprio volete farla, è quella della normalità. Vi conviene. Una normalità dove il lavoro e il reddito derivano dallo studio, dall'impegno e non sono il risultato di un assistenzialismo fine a se stesso. Una normalità in cui pagare il biglietto dell'autobus è solo un gesto di civiltà. Se per caso cambiaste idea, provate a risalirci, sugli autobus, dicendo ai presenti che devono pagare perché quello è un servizio da tutelare. Troverete certamente meno accoglienza. Non preoccupatevi. Quello sarà il segnale che siete sulla strada giusta. 

sabato 13 aprile 2013

Associazioni antimafia: una casa comune per contare.

LA REPUBBLICA-PALERMO
12/4/2013 - PAG. I
Anche l'antimafia è rimasta senza casa
Francesco Palazzo
 
Il progetto di una casa comune delle associazioni antimafia palermitane esiste da tempo. Durante le due legislature degli anni novanta dell'attuale sindaco, si arrivò anche a trovare un luogo. Se ricordiamo bene il cosiddetto palazzo Barone di via Lincoln, dove sorgono uffici comunali. La cosa non ebbe seguito perché gli spazi offerti non sembrarono adeguati. Nel 2004 l'Osservatorio sulla Partecipazione, una delle tante aggregazioni che durano da Natale a Santo Stefano, cercò invano di arrivare ad un protocollo d'intesa da sottoporre all'amministrazione comunale. Ogni realtà associativa, più che guardare al percorso comune, si limitò a scrutare il proprio ombelico. Nel giugno del 2005 il Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato ha formalizzato una proposta articolata e interessante, chiamando a raccolta associazioni, scuole, università, forze politiche e sindacali. Si proponeva uno spazio polivalente che potesse essere mostra permanente sul fenomeno mafioso e sull'antimafia sviluppatasi in Sicilia, biblioteca emeroteca su mafia e antimafia, con una raccolta di atti giudiziari e di documentazione, casa delle associazioni e laboratorio di nuove iniziative. Nel luglio successivo alcuni consiglieri comunali presentarono una mozione con la proposta di utilizzare per tale finalità Palazzo Tarallo, di proprietà comunale, sito nel quartiere Albergheria. Umberto Santino, fondatore del Centro Impastato, su questo giornale, nel 2006, si chiedeva che fine avesse fatto quella mozione. Palazzo Tarallo è stato restaurato e riaperto nel dicembre 2012 con due mostre riguardanti l'arte contemporanea e la fotografia. Per la verità una proposta alternativa dell'amministrazione comunale c'era stata. Ai Centri Impastato, Terranova, Pio La Torre e alla Fondazione Costa era stata messa a disposizione Villa Pantelleria per realizzare la Biblioteca della Legalità. Ma i sodalizi associativi si sarebbero dovuti occupare delle ingenti spese di restauro. Insomma, l'aspirazione ad una casa comune dell'antimafia è tutt'oggi all'anno zero. Nei due decenni che ci separano dalle stragi del biennio 1992/1993 tanto lavoro, teorico e pratico, si è fatto nel mondo dell'associazionismo, ma ciascuno per conto proprio, senza la possibilità di fare sintesi e di sommare i percorsi anziché disperderli in mille rivoli. Il progetto di una casa comune dell'antimafia e della legalità poteva e potrebbe essere un solido e duraturo punto di riferimento per andare oltre l'emotività dei grandi fatti di sangue e dell'emergenzialismo che ne è sempre seguito. Siamo ancora alla ricerca di un'antimafia in grado di fare tesoro dei tanti carismi e dei molti saperi che una lunga storia di lotta ai poteri mafiosi, iniziata sul finire dell'ottocento ci ha tramandato. Ciò porta a sottovalutare e a non combattere, in quanto comunità che riesce a fare fronte comune, prescindendo dalle azioni della magistratura e dalla debolezza della politica su questa tematica, la forza che Cosa nostra è ancora in grado di esercitare. E si tratta di aspetti finanziari internazionali, di inserimento nell'economia pulita visto che i capitali sporchi in un momento di crisi di liquidità s'impongono più facilmente e di controllo del territorio che non disdegna il ricorso alle armi, come anche accaduto recentemente pare per il commercio di droga. Senza contare che un'antimafia sociale polverizzata contribuisce a isolare, di fatto, quanti sono in prima fila a investigare sulle cosche e sui loro rapporti con il potere politico ed economico. La pianificazione dell'attentato contro il sostituto procuratore Nino DI Matteo può essere, in questo senso, più di un campanello d'allarme. Speriamo di non doverci ritrovare nuovamente nelle condizioni di chi si mobilita, collettivamente, sempre un minuto dopo.