venerdì 7 giugno 2013

Beatificazione di Don Puglisi, tra l'erba e il mare.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
7 Giugno 2013 - Pag. 39
Beato Puglisi palpita al Foro Italico
Francesco Palazzo
Nei grandi eventi, per chi scrive, c'è una dimensione critica, che ho già avuto modo di affrontare altrove, e una dimensione intima, alla fine la più importante per te come persona. Che sei costretto, per forza di cose, a tenerti per te. Ma in questo caso, la beatificazione di don Puglisi, come persona nata e vissuta a Brancaccio e avendo conosciuto don Pino, l'occasione è troppo particolare per lasciare tutto dentro. Ho vissuto questi ultimi mesi, da ottobre dello scorso anno, approfondendo la figura di 3P per scrivere insieme ad Augusto Cavadi e Rosaria Cascio un libro uscito nel mese in corso (Beato fra i mafiosi, Ed. Di Girolamo). E' stata una lunga tappa di avvicinamento al giorno della beatificazione. Ho vissuto la vigilia come la preparazione di una festa. Cosa può uscire di buono da un quartiere come Brancaccio? Tanta gente perbene, ieri e oggi, insieme a tanta mafia e a fasce di degrado ma anche di ceto medio e professionale molto presenti nel rione di diecimila persone. Adesso, dalle strade dove hai vissuto la tua infanzia, che ancora percorri, viene fuori nientemeno che un santo. Il sabato mattina del giorno previsto (il 25 maggio) la giornata è una delle migliori che Palermo sa sovente regalarti. Un sole splendido, cielo terso e quel venticello che non ti fa sentire neanche caldo. La colazione sotto casa e il giornale in edicola quel giorno hanno un sapore diverso. L'autobus che dalla zona residenziale ti porta nel cuore del centro storico scivola nel lungo viale semivuoto. Via Libertà, il salotto di Palermo, ti sembra più bello del solito. Scendo ai quattro canti di città, a due passi dall'imponente Palazzo Comunale. La discesa verso il mare da Corso Vittorio Emanuele, il vecchio Cassaro, dove la nobiltà palermitana festeggiò il suo splendore e visse la sua decadenza, la faccio in compagnia di gruppetti o singoli che vanno verso il palco del Foro Italico. Innalzato fra l'erba e il mare. E, forse, Don Puglisi un primo miracolo lo sta già compiendo. Decine di migliaia di palermitani, dopo che per tanto tempo hanno dato le spalle al mare, saranno costretti a guardarlo tutti insieme e nello stesso momento. Il clima è da subito rilassato, non c'è grande folla all'inizio e non vi sarà sino alla fine. Tutto si svolge in un'intimità che dona alla celebrazione un fascino particolare. L'erba, il mare, le navi che passano dietro il bianco del palco-altare, il telo bianco che copre la gigantografia del beatificando. E le colombe bianche che vengono fatte volare nel momento in cui viene scoperta la grande immagine sorridente di don Pino, cioè nell'attimo in cui viene proclamato servo di Dio. Le lacrime in quel momento non sono facili da trattenere. Ed anche nella tribuna dei giornalisti si segue il tutto non soltanto come un normale evento su cui poi riferire agli altri, ma cercando una dimensione personale che possa rimanere incisa nell'anima. Brancaccio, la mafia, Palermo, la Sicilia In quelle dure ore, dalle 10 e 30 alle 12 e 30, non pensi ad altro che a quella figura che ti sorride. Vestito come lui si vestiva. Un semplice indumento nero, che era maglietta in estate e maglioncino in inverno. Un prete che non si vestiva da prete. Così conciato si presentò una volta ad un gruppo di ragazzi che giocavano a pallone. Sono Padre Puglisi, disse. Gli risposerò. Padre di chi? Non generò figli biologici 3P. Ma un sabato di maggio migliaia di suoi figli che egli ha seminato per le strade di Palermo, della Sicilia e del mondo, erano lì a piangere e basta. E a ridere. Perché è soprattutto un giorno di festa. Da ricordare. In mezzo alla folla c'è anche un figlio particolare di don Pino. Un ragazzo di Brancaccio, era un ragazzo adesso è un uomo, che da giovane studente in medicina assistette alla sua autopsia e ora vive, da quasi vent'anni, fuori dalla Sicilia perché testimone di giustizia. Le sue lacrime e la sua gioia sono le più vere. Perché le più sofferte. La messa è finita. Così presto? La tranquillità connota anche l'allontanamento della folla dal Foro Italico Umberto I, che d'ora in poi dovrebbe chiamarsi Foro Italico Beato Puglisi. Alla fine, tornando a casa, ripenso a quel colpo alla nuca del 15 settembre 1993. Tutto ebbe inizio quella sera. Lui stava per mettere le chiavi nella serratura del portone e quei due lo fermano. Padre è una rapina. Lo avevo capito dice lui e si rigira incredibilmente per completare l'apertura dell'uscio di casa. Come se quei due non esistessero. Gregorio Porcaro, viceparroco di don Puglisi a Brancaccio, legge questa cosa in tal modo. “Io me lo spiego quel gesto, lui magari già aveva pensato di invitarli su a discutere”. E, aggiungo io, a convincerli che quella non era vita. Non gliene hanno dato il tempo, i due assassini, perché tutto doveva compiersi. Tra l'erba e il mare. 

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