lunedì 8 luglio 2013

Le due città e le due chiese di fronte alla mafia.

La Repubblica Palermo

 07 luglio 2013 —   pagina 17   

 LE DUE PALERMO DI FRONTE ALLA MAFIA

Francesco Palazzo

A ogni retata, l' ultima nel quartiere di Ballarò, pare che si scopra un dato nuovo. Che invece è abbastanza vecchio e strutturale da almeno un secolo e mezzo. Un pezzo ampio di Palermo è ancora ai piedi dei boss mafiosi. Quanto è ampio questo pezzo di città? O, se vogliamo, questo pezzo di Sicilia? Temo che in questi ultimi decenni, ci siamo raccontati la storia di una città, e di una regione, risanate e finalmente indipendenti. Se non dall'economia criminale, perché in fondo ogni giorno ci può capitare di fare la spesa o la benzina in esercizi commerciali legali provenienti da soldi sporchi, almeno dalla cultura mafiosa. Dopo l'ultima operazione di polizia, dalla Procura fanno giustamente notare che siamo in presenza di due città. La prima ancora legata alla mafia e l' altra sempre più rispettosa del vivere civile. Ma dobbiamo anche ammettere che la prima comunità, quella che risponde alle coppole storte, è molto più numerosa e forte. Potremmo, come abbiamo sovente fatto, liquidare questo ampio strato di società siciliana succube dei boss come preda della subcultura. E magari ci sarà anche questo. C'è chi però, non necessariamente povero, culturalmente ed economicamente, per fare quel tal lavoro si rivolge alla ditta raccomandata, o imposta, dal ras del rione. Poi c' è l'altra città. Quella che si è liberata. Una piccola enclave, a mio parere, che forse pensa di essere numerosa perché si conta sempre nei posti sbagliati, e invece è numericamente ancora poco consistente. Ma la città virtuosa, come esercita questa diversità rispetto al potere criminale? Forse non chiede più raccomandazioni e favori al potere politico? Forse utilizza sempre i soldi pubblici in maniera virtuosa, senza sprechi, mettendo in campo buona politica? E rispetta sempre le elementari regole del vivere civile? Se cominciassimo a rispondere ci renderemmo conto, probabilmente, che quell'altra città, contrapposta alla mafia, è ancora più sottile in qualità e quantità. E, ampia o stretta che sia, prima o poi dovrà porsi il problema di confrontarsi con i tanti che ancora sono devoti al padrino di turno. Non si può certo pensare che queste due città siano irriducibili l'una all' altra e possano continuare a ignorarsi pur calpestando le stesse strade. Così non può funzionare. Altro fronte di discussione che esce dalle ultime vicende è legato alla Chiesa cattolica. Sempre più spesso vediamo che le processioni rionali ospitano tra le loro file persone con curriculum penali abbastanza consistenti. La Chiesa lo sa che accadono queste cose? E se ne è a conoscenza, come è logico che sia, cosa fa per arginare questo fenomeno, invero abbastanza diffuso e di lunga durata? Così come si fa con Palermo, si possono ipotizzare due Chiese. Da una parte quella di don Puglisi, appena beatificato, oppure quella di Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, che ha vietato i funerali dei mafiosi condannati in via definitiva. Dall'altra, quella di chi ancora non è in grado di prendere provvedimenti altrettanto decisie non vigila, o chiude un occhio, sull' infiltrazione di elementi poco raccomandabili dentro le espressioni delle religiosità popolare. Quanto pesano queste due Chiese? Ho l'impressione che la vicenda di don Pino Puglisi abbia in qualche modo oscurato la tanta strada che anche la Chiesa cattolica siciliana deve fare su questo fronte.

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