La Repubblica Palermo
5 Novembre 2013 - Pag. I
Il PD delle tessere
Francesco Palazzo
Nel Partito Democratico
si vota per individuare le cariche politiche. Non è cosa da poco. In
un momento, abbastanza lungo ormai, in cui nella storia repubblicana
prevalgono i partiti personali, il fatto che ci si conti, senza
costringere gli iscritti a ratificare scelte provenienti dall'alto,
non può che essere sottolineato con favore. Magari a volte si
esagera. E dunque a Trapani sono stati eletti ben due segretari
cittadini. A partire da questo fatto, penso unico in tutta Italia,
pure in un partito travagliato un po' in tutto lo stivale, viene
naturale porsi qualche domanda. Circoscriviamo la nostra analisi al
partito siciliano. Esso, oggi, è qualcosa di diverso da quello che
era sino a ieri, ossia, un agglomerato di correnti, o si è
trasformato in qualcos'altro, più inclusivo e meno belligerante al
suo interno? Basta il voto degli iscritti a trasformare in veramente
democratico quello che, sino a qualche ora prima, era un mosaico di
generali con gruppi di seguaci al seguito? E ancora. Questa
formazione politica, si avvia a diventare una comunità, dove si
discute ma ci si riconosce in un cammino comune, oppure è tuttora un
insieme di frammenti, ognuno con il suo pennone e il proprio schema
di gioco? Ci sia consentito di formulare, su tali quesiti, delle
risposte tendenti, se non al negativo, quantomeno al grigio. Un'altra
questione riguarda l'elettorato che attribuisce il consenso. La base.
Parola vecchia come il cucco e svuotata di significato, visto che
spesso consiste in masse di donne e uomini che al massimo possono
mettere una x. Dalle cronache regionali abbiamo appreso, ed è una
questione che riguarda non soltanto la nostra regione, del boom
d'iscritti dell'ultima ora in vista della conta interna per
l'individuazione dei segretari provinciali e dei circoli. Pratica
antica, quella di gonfiare i numeri in vista dei congressi, durante
la prima repubblica veniva eseguita ad arte dai democristiani. Ora, è
mai possibile ammettere l'iscrizione al partito sino al momento della
votazione e non fissarla ad un certo punto, in modo da non consentire
exploit di sospette adesioni last minute? Che tipo di consenso è
quello pescato così? Aumenta la quantità, certo. Ma quanto durerà?
E la qualità di tali conversioni, garantisce un passo in avanti del
partito o è la premessa per fargliene compiere altri indietro? Poi
c'è la questione dei circoli, che un tempo si chiamavano sezioni. E
che sono state, soprattutto in riferimento al PCI, con tutti i limiti
di un tempo passato per sempre, palestre di crescita, sul campo, di
nuova classe dirigente. Cosa sono diventati tali circoli? Pare che la
maggior parte di essi in Sicilia siano riferibili a questo o a
quell'eletto nelle istituzioni sotto la targa PD. E' stato infatti
abbastanza curioso notare che in alcuni circoli si votava in maniera
bulgara un candidato, in altri quasi all'unanimità il suo
concorrente. Come mai, posti che dovrebbero disegnare sul territorio
la democrazia e il confronto, diventano sedi in cui ci si muove
all'unisono tutti da una parte o da un'altra? Ci pare che sullo
scacchiere insanguinato di questa ondata elettiva democratica, la
politica regionale e la società siciliana rimangano sullo sfondo. E,
del resto, un partito che si presenta con queste credenziali, ha
residue possibilità di apportare qualche virtù benefica alla
politica della nostra regione. Anzi, rischia di appesantirne i vizi.
Ed è molto difficile che la società siciliana che non vive di pane
e politica, cioè milioni di persone, possa mostrare un pur minimo
interesse verso un partito che parla a se stesso e rimane eternamente
fermo sui conflitti. Insomma, cari democratici siciliani, votare e
scegliere al proprio interno non è il punto di caduta finale
dell'azione politica di un partito. Ma solo una premessa. Non appena
avrete finito di accapigliarvi, se rimane tempo, ricordatevi di
pronunciare qualche parola comprensibile sul futuro della Sicilia.
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