domenica 19 luglio 2015

Lotta alla mafia: ripartiamo dalle periferie.

Repubblica Palermo 
17 luglio 2015 - Pag. I
Un nuovo inizio senza carrierismi
Francesco Palazzo


La mafia dentro l’antimafia, l’antimafia dentro la mafia, l’antimafia per fare carriera, i proclami sulla legalità che nascondono atteggiamenti contrari, l’antimafia come metallo non più coniabile. Niente di nuovo sotto il sole. Da quando esiste la mafia vivono anche queste eterne querelle. Si giunge così a questo 19 luglio 2015. Che sia un passo indietro o l’uscita necessaria per andare altrove ce lo dirà il tempo. Sembra, intanto, che la profezia di Sciascia sui professionisti dell’antimafia, che nel 1987 infiammò il dibattito pubblico, sia ormai moneta corrente. Pare che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, anche loro accusati, sappiamo quanto ingiustamente, di carrierismo da vivi, per farne eroi da morti, non pronunciarono mai il termine antimafia. Anche se al loro tempo, quando ancora qualcuno diceva che la mafia non esisteva quel suffisso, anti, poteva avere un senso. Oggi non l’ha più quel senso? Difficile rispondere alla domanda. Sulla lapide di San Domenico, sotto la quale giace da alcune settimane il corpo di Falcone, c’è scritto “eroe della lotta alla mafia”, che si può tradurre “eroe dell’antimafia”. Mettiamo da parte una domanda cui, al momento, non sappiamo rispondere. Forse quello che può dare fastidio, sono le parate istituzionali che nei giorni delle due ricorrenze principali, il 23 maggio e il 19 luglio, e già qui c’è una graduatoria di fatto rispetto alle altre vittime, si sciorinano nei due luoghi simbolo, l’Albero Falcone e Via D’Amelio. Ma insieme con esse, lo sappiamo, ci sono centinaia, migliaia di persone per le quali l’essere in quei luoghi ha il senso di una testimonianza civile, di una rinnovata memoria, di un tentativo di sottrarre tutto all’oblio. Ma poi si dice un’altra cosa. La lotta alle mafie è fare ogni giorno il proprio dovere, nei luoghi in cui ci si trova, contro le prepotenze, gli intrighi, le corruzioni, contro il malaffare che ci si presenta davanti. Questo il senso che la famiglia Borsellino vuole dare all’assenza di quest’anno da via D’Amelio. E non si può che essere d’accordo con questa declinazione del proprio impegno personale, che non ha bisogno di fanfare, lustrini e parole roboanti. Tuttavia, in questa vicenda c’è anche un aspetto collettivo, corale, di popolo, da salvaguardare. Cosi mi pare. Magari non coincide con le navi della legalità o con i cortei che giungono in Via D’Amelio, né con le rappresentazioni che in quel luogo si svolgono nei dintorni del 19 luglio. Ma le mafie, nel loro agire, sono sì legate alle male azioni dei singoli, ma sono anche un fatto collettivo, di sistema, strutturale, di lungo periodo. Quindi, oltre l’impegno personale e privato, primario e importantissimo, occorre che contro di esse si agisca come sistema che ha altri valori e altri scopi. Non la vogliamo chiamare antimafia? Il problema è relativo, i nomi contano sino a un certo punto. Tuttavia, quello che ci sta dietro importa eccome. E allora la si potrebbe mettere più o meno così. Almeno provarci. Ogni anno si potrebbero scegliere più periferie, luoghi spesso abbandonati e dove forse il discrimine tra mafia e antimafia può essere meno evanescente di quello consunto che si celebra nel salotto cittadino. Andare lì a manifestare e contemporaneamente, e in primo luogo, dare vita a strutture pubbliche, collettive, che rimangano, in cui la politica, il volontariato locale e il movimento anti quello che volete provino a lasciare segni concreti da curare e salvaguardare nel tempo. Può essere un nuovo inizio. Che non elimina i rischi del carrierismo, delle ambiguità, delle parole che nascondono azioni contrarie. Dobbiamo, però, sapere, questo ce lo dice una lunga storia, che la mafia, proprio per non essere una forma semplice di criminalità, ma un sistema che ha rapporti duraturi e bilaterali con politica, economia e società, non è semplice da affrontare. Possiamo pure eliminare la parola anti. Ma le mafie rimangono e per essere spazzate via richiedono una duplice azione: personale e collettiva. 

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