domenica 22 aprile 2018

Mafie e società. La partita più importante si vince fuori dai tribunali.


La Repubblica Palermo
22 aprile 2018
La mafia e i colpevoli oltre i tribunali
Francesco Palazzo

Un accadimento storico, strutturale, di lunghissima durata, sdraiato su tre secoli, riguardante pesantemente quattro regioni, con presenze forti al nord, è molto di più di una trattativa.
Rischia di essere l’album di famiglia di una nazione. 
Non si dura tanto e non ci si espande senza consenso diffuso. Questo è accaduto e succede con le mafie. E può essere ipocrita nascondersi dietro sentenze, che peraltro devono varcare i tre round per passare nella storia giudiziaria.
Che è una parte della più ampia storia generale, che non ci vede certo uscire alla grande. Come abitanti del sud, che convivono senza soluzione di continuità con sistemi criminali siffatti, più che ritenere colpevoli altri, finendo con l’autoassolverci, anche se non entreremo mai in nessun tribunale, dobbiamo sapere che se tutto ciò è avvenuto e avviene, chissà ancora per quanto, è perché non solo abbiamo favorito, ma pure arato il terreno affinché le mafie s’insediassero e durassero. Se proviamo a raccontarcela in tal modo, magari ci potremo rendere conto che c’è poco da esultare e molto su cui riflettere.


Chiesa, tra moniti e richieste di perdono, la pastorale antimafia che non entra nelle parrocchie.


La Repubblica Palermo
21 aprile 2018
L'antimafia della chiesa deve ripartire dalle parrocchie
Francesco Palazzo

Il maggio, a 25 anni dal monito agrigentino di Giovanni Paolo II («Lo dico ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio»), i vescovi siciliani emaneranno un documento contro la criminalità organizzata, con un appello alla conversione e una decisa scomunica per i mafiosi. Non è la prima volta che accade. Già nel lontano 1993 con un convegno e nel 1994 con un altro documento dissero e scrissero parole importanti. Senza dimenticare la stagione, insuperata, del cardinale Pappalardo. L’arcivescovo Lorefice ha chiesto perdono per l’atteggiamento della Chiesa verso la mafia, affermando che il mafioso non può essere credente, avendo in odio la fede. Anche queste considerazioni non sono una novità. Resta da capire se davvero le mafie si muovano «in odium fidei», formula utilizzata per la beatificazione di don Puglisi. Ho l’impressione che siano più pragmatiche e reagiscano seguendo altri stimoli. Ma una domanda dobbiamo farcela. Queste prese di posizione dei vertici hanno mai avuto una rilevanza uniforme nelle 1.800 parrocchie siciliane? Dai tempi del cardinale Ruffini tutto è cambiato. Che la mafia sia da condannare lo sostiene chiunque. Che poi dalle parole si passi ai fatti, smettendo, in ambienti popolari e borghesi, i vestiti della connivenza o dell’indifferenza, è un altro discorso. Così come, appunto, bisogna verificare quanto transiti dai vescovi alle comunità parrocchiali, sparse sul territorio in maniera capillare e pertanto decisive perché parlano a tutti. Quando si discute di una pastorale specifica sulla mafia, si dovrebbe fare riferimento a ciò che può essere implementato concretamente in questi luoghi. Un vero impegno della Chiesa in questo campo può solo passare da lì. Se ci si dovesse ancora limitare ai pur importanti appelli o alle scuse dei porporati, rimarremmo fermi a decenni addietro. Cosa si potrebbe, dunque, mettere dentro le comunità parrocchiali per affrontare al meglio la presenza mafiosa? Una consulta su mafie, società ed economia con dentro tutti i parroci e due o tre membri per parrocchia, a livello regionale e per diocesi potrebbe servire ad approfondire, con l’ausilio di esperti, la tematica. Progettando cosa fare in concreto, in maniera duratura, perché le mafie non si combattono una tantum, con interventi spot, in tutti i templi cattolici. Per evitare che più spiccate sensibilità vengano, come accadde a Puglisi e non solo a lui, isolate.


giovedì 19 aprile 2018

I cani di mànnara da salvare e i siciliani.

La Repubblica Palermo
19 aprile 2018
Con i mafiosi o con i pastori, quel destino da cani
Francesco Palazzo

Quando la cultura e il linguaggio popolari erano di casa, sentire di una persona « è un cani i mànnara », nel senso di soggetto sinistro e violento, non era insolito. Offesa eguagliata da « è un cane di bancata », che si nutre, da parassita, di quanto cade dai banconi dei macellai. Soltanto che il primo, come scrive il trapanese Salvatore Mugno ne Il cane della mafia. I siciliani e i cani di mànnara (Catania, Algra, 2018), è collaborativo col padrone, benché aggressivo con gli altri, il secondo inutile. I “Cani di bancata” li troviamo in uno spettacolo sulla mafia di Emma Dante, ma anche in Nero su nero di Sciascia, citati da Mugno. La mànnara è la mandria, ma pure le greggi: i cani sono arruolati dai pastori per difendere, giorno e notte, altri animali. Il termine mànnara deriverebbe dall’arabo manzrah, ovile, gregge, mandria. Se questo cane ha una cattiva nomea, lo si deve, scrive l’autore, non a suoi difetti, ma all’uso cui è stato destinato. Mugno scrive: «Sembrano cani incapaci di altro se non di tenere lontani gli estranei. Sin da cuccioli vengono abituati al duro apprendistato del lavoro e al distacco dal mondo. Per loro sembra non esservi una fase di svezzamento, di gioco, di spensieratezza, di distrazione, nascono per lavorare». L’autore passa inizialmente in rassegna alcuni cani-personaggi della letteratura siciliana. Pirandello, Tomasi di Lampedusa (il celebre alano Bendicò de Il Gattopardo, una chiave di lettura del romanzo), Sciascia, Piccolo, Camilleri (Il cane di terracotta), Alajmo, e altri. In una novella di Pirandello, la cagnetta Mimì è abbandonata dalla padrona perché unitasi al bastardino Pallino. In Occhio di capra, di Sciascia, emerge la dignità del cane, che muore senza lamenti. Marcello Benfante, in Cinopolis, tratteggia una Palermo soffocata dall’immondizia (guarda un po’) e assediata dai cani. Roberto Alajmo, nel racconto La famosa rivolta dei cani di Sicilia, prende spunto da fatti di cronaca degli anni Novanta, in cui dei cani si resero malvagi protagonisti. Il “mastino siciliano” è presente in Luigi Natoli ne I Beati Paoli, dove i cani manifestano trasporto verso un bimbo, e in un racconto popolare raccolto dal Pitrè, Li latri e San Petru. Questo tipo cane, secondo ricerche riportate nel testo, è in via d’estinzione, un centinaio di capi, secondo alcuni anche meno. Esperti e università lo stanno studiando. Dal 2014 c’è il registro per la razza cane di mànnara. Ci sono stati dei raduni nel 2014, 2016 e 2017. Nel capitolo “Il cane dei pastori, dei campieri e dei mafiosi” si evidenzia il fatto che questi cani hanno anche vissuto, storicamente in contesti particolari. Come quello dei campieri, che sorvegliavano le terre del latifondo. L’autore cita un’operazione antimafia in cui gli indagati si danno appuntamento in unamànnara di pecore. A proposito del titolo del libro, Mugno scrive che: «Per certi aspetti, essi potrebbero forse perfino essere ritenuti i “cani della mafia”, cioè quelli che, per prossimità, temperamento e “formazione”, sarebbero i più vicini alla mentalità mafiosa». Nel capitolo “Affinità elettive tra l’uomo e la bestia” si indicano somiglianze tra il cane di mànnara e certi siciliani. L’indolenza, la vanità, l’esibizionismo. Poi la fierezza, l’andatura altezzosa, la silenziosità, la trasandatezza, l’essere sornioni ma dall’intelligenza pronta. Così come la rara tenerezza, relegata nel privato della proprietà del padrone. Come un certo tipo di siciliano, scrive Mugno: «Tenero, delicato e amorevole nel chiuso della propria casa e, in molti casi, ostile, spigoloso, ermetico e impermeabile rispetto all’ambiente esterno». Ci sono altri stimoli nelle 79 pagine. Dopo la lettura mi è capitato di stare in auto dietro una mandria e di osservare, con senso di solidarietà, i tre cani a protezione dei bovini. Cercando il lampo di bontà nei loro occhi di quando erano cuccioli, prima di essere costretti a una vita da guardiani.

giovedì 12 aprile 2018

Uno spazio per il teatro di Emma Dante e dei giovani a Palermo.


La Repubblica Palermo - Pag. I - 12 aprile 2018
Chi risponderà a Emma Dante che chiede asilo
Francesco Palazzo

Ci sono cose sulle quali il lavoro è duro. 
Sentiamo dire: decapitata questa o quella cosca. Poi vediamo che la mafia è sempre forte e non abbiamo tagliato la testa definitivamente a nulla. 
Sulla scuola pare che i problemi derivino da Roma. Invece regolarmente in Sicilia si registrano, rispetto al resto del Paese, un’alta evasione scolastica, meno tempo pieno e livelli di apprendimento inferiori.
Sull’immondizia stiamo facendo e dicendo, tuttavia le tre città più grandi — Palermo, Catania e Messina — sulla differenziata sono in zona retrocessione. 
Ma ora che siamo Capitale della cultura si potrebbe immaginare che alcune carenze siano risolte. E invece leggiamo, per l’ennesima volta, che Emma Dante non ha a disposizione un posto dove svolgere tranquillamente la sua apprezzata attività formativa di giovani talenti nel campo teatrale e che, se continua così, se ne andrà. Ora, su mafia, scuola e rifiuti la strada è lunga. 
Ma uno spazio pubblico definitivo e decente per un’artista di valore e per i nostri ragazzi, nell’anno in cui abbiamo sul petto lo scudetto della cultura, lo troviamo?

domenica 8 aprile 2018

La buona politica è fatta da buoni elettori.

La Repubblica Palermo
8 aprile 2018
Voto di scambio, il frutto delle promesse
Francesco Palazzo


Occorre pure dirlo in cosa si sono trasformate le campagne elettorali negli ultimi tempi. Un diffuso parlare alla pancia della gente. Che viene giustificato, lodato, quando si vince. Perché stranirsi se i contatti poi proseguono porta a porta? Si segue la stessa linea. Non si profilano a livello generale sistemi migliori, ma meno tasse, più sovvenzioni, maggiore assistenzialismo. Una politica basata sulla statura del singolo, pronto a vendersi nel mercato delle esigenze sempre più specifiche, che arrivano sino al tinello di casa, raggiungendo il particolare del particolare. La politica è tornata ad essere, almeno alle nostre latitudini, questo. Lo vediamo molto bene ancor prima che ce lo svelino le indagini. Troppo spesso in Sicilia l’elettorato attivo è scagionato perché in stato di presunto bisogno. Sull’altare del quale ogni richiesta sarebbe lecita, da comprendere e coccolare. Invece si tratta quasi sempre di familismo amorale che rende la politica sempre meno adatta a svolgere il suo vero compito. Migliorare la vita della collettività dove i singoli poi abbiano più opportunità.